Precedentemente avevo scritto del Chianti. Vino conosciuto in tutto il globo ma poco capito, a causa dell’ignoranza che abbiamo del suo disciplinare (persino in Patria). Non volendo farmi mancare niente, affronto un altro “mostro sacro”.
L’uva a bacca nera più usata per produrre Spumanti e Champagne? Il Pinot Nero!
Eppure, non tutti sanno che si tratta di una vite fra le più ostiche da coltivare, vinificare e, in ultimo, da degustare. Ha necessità di un clima adatto e di grande capacità per essere lavorata, o meglio, lavorata bene. Quando vado a degustazioni e qualche azienda ha il Pinot Nero nelle sue referenze, lo uso come “banco di prova”… Chi è in grado di gestire quest’uva, può lavorare qualsiasi altro prodotto della vigna. Zona e clima ideali per eccellenza sono considerati la sua “patria di origine”, cioè la Borgogna.
Spesso questo nettare viene bistrattato per la grande (ma mediocre) produzione che lo fa passare per un vino sfruttabilissimo e facilissimo… Niente di più errato, ma snaturarlo rischia di dare un prodotto di poco carattere. In realtà può esprimersi in un prodotto di altissima classe.
Il Pinot Nero ha una capacità mutante notevole (l’X-wine dei vigneti… il Wolverine per antonomasia!). Questa sua dote lo rende un vitigno molto poco affidabile, tant’è che oggi troviamo sugli scaffali bottiglie di Pinot Grigio o Meunier (a dirla tutta, si narra che vi siano 1000 e più varietà originarie dal Pinot) senza renderci conto che trattasi di cloni, seppur ottimi ma “copie”. Ma non divaghiamo e restiamo concentrati sul “the original”.
Partiamo dalla percezione visiva
Il grappolo è fitto di acini, molto compatti, a forma di pigna (da qui la derivazione del nome); la buccia è sottile, con scarsa capacità colorante, infatti la tonalità di rosso del Pinot poco accentuata lo fa apparire di scarso valore agli occhi di noi profani. E sbagliamo, di nuovo!
La bassa acidità, gli aromi fini e la sua eleganza lo rendono non idoneo a tutte le lavorazioni alle quali si prestano altri rossi, quindi merita il nostro rispetto perché vince il braccio di ferro con chiunque lo voglia piegare al proprio volere. Malgrado gli aromi del Pinot siano ben delineati, sono al contempo raffinati…delicati, come la sua “salute” cagionevole, sensibile a muffe che possono mettere a repentaglio tutto il suo ciclo vitale (dalla gemmatura, alla vendemmia fino ad arrivare alla lavorazione).
La sua vinificazione può esprimersi in rosso o in bianco
Nel primo caso è lavorato in purezza, spesso fermentato in legno non particolarmente tostato per dargli quella stabilità che non è nelle sue doti più marcate, senza fargli perdere eleganza e delicatezza; se gestito con accuratezza da mani sapienti, un Pinot Nero può avere una durata anche di 9 o 10 anni e potremmo trovarci al cospetto di un Signor Vino di tutto rispetto!
Nel secondo metodo, cioè vinificato bianco, raccolto prematuramente, quasi acerbo, è usato per spumati ai quali cede carattere, aromaticità e classe. Spumati e Champagne passano da un colore verdolino o paglierino ad una sfumatura dorata o, all’occorrenza rosata , grazie a questa splendida uva. L’acidità, i profumi freschi di fiori e frutta molto delicati ma persistenti creano nelle bollicine una raffinatezza senza eguali.
La elevatura della sua acidità è equilibrata dall’ alcol, che solitamente è relativamente alto, e dalla zona nella quale vive; il Pinot Nero predilige un clima fresco, che gli permetta di maturare con lentezza e di raccogliere nei suoi acini più profumi possibili.
Ho degustato in questi anni alcuni Pinot Nero, alla ricerca di un vino che mi facesse comprendere la sua complessità. Non è stato un percorso facile, anzi spesso mi sono trovata al cospetto di alcuni prodotti che rischiavano di farmi desistere, ma sono finalmente giunta ad una scelta (con grande ringraziamento del mio fegato) e il mio “affetto” è caduto su un rosso che mi ha fatto ricredere.
Si tratta del CABANON NOIR – Piccolo Re – Pinot Nero IGT
Da cloni originali della Borgogna, coltivati in alta collina su terreno argilloso calcareo. Si presenta al bicchiere di un bel rosso rubino, con la tipica trasparenza per la scarsa colorazione della buccia, gli aromi spaziano dal pellame/cuoio al sottobosco con richiami di muschio, ribes e viola (capirete la mia sorpresa per la delicatezza dei profumi!).
La resa per ettaro è molto modesta, la differenza per produrre un nettare soddisfacente è dovuta al clone scelto ed il colore, che in Borgogna e nei Pinot Nero d’Oltralpe è scarso, in Italia, grazie al clima non così eccessivamente rigido, raggiunge un bel rosso impegnativo. La scarsa acidità ma l’alta tanninicità viene tenuta sotto controllo e gestita grazie al passaggio in botte grande durante il processo di manolattica.
Il costo di questa bottiglia si aggira tra i 13/15 euro e aggiungo che il rapporto qualità/prezzo li vale tutti.
All’apparenza e per chi non si vuole soffermare a “recuperare” tutti questi sentori e sapori, è un vino che si fa bere piacevolmente, col quale è facile fare amicizia, tanto per capirci.
Non so se ho appreso buona parte del carattere del Pinot Nero, anzi, ne dubito fortemente; senz’altro c’è ancora tanto che devo imparare e conoscere, chi incomincia è a metà dell’opera ed io mi sto addentrando in un cammino arduo ma molto interessante. Sarà mia premura “studiare” ulteriormente e magari trovare anche la giusta vinificazione in bianco… per voi questo ed altro!