Bressan: uno spartiacque nel mondo del vino

Come avrebbe detto l’indimenticabile Ruggero Orlando, «andiamo all’estero» e in questo caso vi porto dritti dritti all’ultimo concorso internazionale vinto in modo eclatante e forse irripetibile da un eccellente vino italiano, vanto della nostra enologia. Si tratta del Grand Prix di Magazyn Wino a Varsavia l’8 novembre 2013 che ha assegnato il Primo Premio assoluto allo Schioppettino 2006 Bressan Mastri Vinai.

Nel corso, appunto, di quell’ottavo Gala annuale di Magazyn Wino, lo Schioppettino 2006 Bressan Mastri Vinai è stato riconosciuto come il miglior vino rosso mondiale dell’anno nella degustazione rigorosamente alla cieca, da qui la medaglia d’oro. Apprezzo molto tutti i vini di Bressan Mastri Vinai e ne scrivo pure volentieri, perché si tratta di vini fatti secondo una linea il più possibile naturale, certamente straordinari, con una potenza incredibile, meravigliosi nell’aroma di frutti di bosco. Il Pignol è probabilmente il miglior vino che producono, ma se lo Schioppettino ha ottenuto in Polonia la sua bella medaglia d’oro sono molto contento, perché io vivo in questo Paese del Baltico e sono testimone di un aumento costante del consumo del vino che vent’anni fa non era ipotizzabile, che cresce di pari passo con la preparazione culturale degli appassionati di vino e con il successo dei vini di alta qualità soprattutto presso il pubblico femminile.

Non avevo condiviso, a suo tempo, la polemica ideologica riguardante gli scritti antisistema di questo produttore di vino sulla sua pagina privata in Facebook, in uno dei quali, dopo aver strapazzato prima molti altri politicanti di partiti diversi, aveva chiamato, tra l’altro, ”scimmia nera” Kashetu Kyenge (detta Cécile al momento di regolarizzare la sua immigrazione clandestina in Italia dal Congo), nominata ministro per l’integrazione nel governo Letta (era la sua oculista). In Italia, alcuni indignati del suo partito (ma non i politici) e alcuni giornalisti politically correct hanno attaccato per presunto razzismo Fulvio Bressan, qualcun altro ha chiesto addirittura il suo boicottaggio mediatico per condannare alla squalifica i vini della sua cantina reclamandone il boicottaggio commerciale, mentre la guida di Slow Food ha deciso che non recensirà oltre i suoi vini. Per parte mia (e, nota bene, sono e rimango convintamente comunista), pur criticando Fulvio Bressan per averla fatta ”fuori dal vaso” con quel modo triviale di esprimere il suo pensiero, ho contrastato subito questa gogna mediatica contro il produttore e la cantina che produce questi vini, andando contro corrente. Non sono stato, però, l’unico. Lo hanno fatto, pur con posizioni distinte fra loro, Franco Ziliani, Carlo Macchi, Stefano Bonilli, Paolo Marchi, Tommaso Farina, Tiziano Bianchi e altri. Ne sanno qualcosa Gariglio, Giavedoni e Fino di Slow Wine, con i quali ho sostenuto un acceso dibattito sul loro blog.

Nessuno di noi aveva condiviso quelle sprezzanti parole di Fulvio Bressan, che è un maverick (alla lettera: ”capo di bestiame senza marchio”), cioè un toro incavolato, un anticonformista, un antagonista, ma da sempre. Il fatto è che nel mondo del vino lo sanno tutti, con lui hanno bevuto tutti e nessuno si è mai scandalizzato dei toni brutali che ha sempre usato per massacrare tutti i politici e i loro pretoriani. Sono gli stessi toni che si possono ascoltare durante le infiammate discussioni fra gente comune che non li sopporta più. Quando gli è capitato sotto tiro un ministro di colore, Fulvio Bressan ha usato gli stessi toni. Ma non è razzista né xenofobo. Ha sposato una donna extracomunitaria e si circonda di amici, collaboratori e lavoratori di colore con cui va d’accordo benissimo, li tratta meglio di altri e continua a farlo anche dopo le polemiche. Dà fiato alle proteste più dure, con i toni più triviali che si ascoltano spesso in tante osterie di paese più che nei wine-bar della borghesia perbenista, ma non è certo razzista né xenofobo, ripeto. Se la signora Kyenge fosse stata bianca l’avrebbe chiamata forse ”mandrillona dal culo rosso” esattamente come una volta io ho apostrofato Fulvio al telefono dandogli dello ”sporco gorillone bianco” al telefono, ma lui s’è messo a ridere anziché querelarmi. Ce l’ha con tutti e non risparmia nessuno, questo sì. Chi lo ha definito razzista ha preso una cantonata spaventosa, anche per aver equivocato il significato delle parole di Bressan in un altro post dove ce l’aveva con i ”gorilla” di questo ministro alloggiati a spese del contribuente in un albergo di lusso di Venezia durante una sua visita privata con la famiglia al Festival del Cinema, pensando che quella parola si riferisse alle persone di colore, mentre era chiaro che si riferiva invece alle guardie del corpo assegnate dalle autorità di ordine pubblico. Del resto nemmeno il ministro ha ritenuto di querelare il produttore, quando poteva perfino farlo.

Ero dunque preparato a una canea contro i vini di Bressan Mastri Vinai anche in Polonia, perché Monica Larner negli USA ne aveva fatto una questione personale (scatenando un putiferio nel mondo del vino che non c’era mai stato prima), proprio perché conosco bene i rapporti d’amicizia, per non dire deferenza, che alcuni scrittori di vino polacchi hanno con quelli anglosassoni d’oltreoceano. Alcuni dei quali dimostrano sensibilità ai temi sociali soltanto quando riguardano gli altri Paesi. In casa propria no, non ne parlano gli eredi dei “soldati blu”. Non ho mai letto di nessun wine-writer americano che abbia aizzato al boicottaggio dei vini di quei produttori del proprio Paese che sono fatti da cent’anni sulle terre strappate con la violenza più efferata alle popolazioni di pelle rossa, i cui discendenti, dopo le stragi compiute dai “soldati blu” sono stati confinati nelle riserve fino a scomparire, semplicemente perché di questo non si vergogna nemmeno e ci dorme tranquillamente sopra. E non ho mai letto di nessun wine-writer americano che abbia aizzato al boicottaggio dei vini dei produttori cileni che sostenevano Pinochet o di quelli argentini che sostenevano Videla, durante quei regimi nati sul sangue e vissuti sul terrore. Monica Larner compresa.

Chiunque voglia una patente di antirazzismo conclamato da incorniciare nel proprio salotto sopra il tappeto buono cominci almeno nel suo Paese, si occupi del razzismo a casa sua e del Ku Klux Klan che vive e vegeta ancora negli USA e non certo in Italia. Nel nostro Paese, a sconfiggere il razzismo vero (e non quello presunto) ci pensiamo noi, ci abbiamo sempre pensato noi. L’Italia non è razzista ed è proprio per questo che emigrano tutti qui, volontariamente, da tutte le parti del mondo, a cercare scampo dalle loro tragedie.

Mi sono stupito, invece, del fatto che quella canea pur immaginabile in Polonia non c’è stata proprio, nonostante i piagnistei della Larner e le ripicche di Slow Food con i wine-writer polacchi. Segno di maturazione: anche in Polonia non si scimmiotta più nessuno, non ci sono più le riverenze ai mostri sacri dei massmedia d’oltreoceano né agli enofighetti italiani.

Soltanto una settimana dopo la premiazione, in Polonia c’è stato un dibattito su Wynicjatywa in un post relativo al Gala dedicato ai vini premiati, al quale uno dei giurati ha scritto di non aver partecipato, di non concordare con gli organizzatori del Grand Prix di Magazyn Wino che avevano invitato al concorso anche uno dei vini di Bressan sapendo che poteva vincere, di disapprovare la modalità di consegna del premio. Si sa che Magazyn Wino, grazie a Tomasz Prange-Barczyński, ha una serietà professionale che balza sempre più all’evidenza anche fra gli opinionisti italiani del vino, infatti i suoi redattori sono giurati a molti dei nostri concorsi. Nel loro Grand Prix 2013 hanno valutato i vini e le medaglie erano per i vini, non per i produttori. Gli scrittori di vino non sono giudici della moralità o dei comportamenti dei produttori: arrogarsi questo potere sarebbe un grave errore, sarebbe la morte del giornalismo specializzato.

La Bressan Mastri Vinai vinifica alcuni tra i migliori vini italiani. In vigna utilizza metodi biologici, sperimenta antichi metodi di coltivazione e di lotta contro le malattie della vite e in cantina non abusa della chimica di sintesi né forza la vinificazione con strumenti fisici moderni, anzi usa in modo diverso e adeguato ai vini tanti legni differenti e dimenticati ormai da tutti. La qualità di questi vini è esemplare. Non credevo che qualcuno in Polonia potesse screditare la cantina produttrice del miglior vino dell’anno nel suo Paese e negarle il premio relativo, perché il suo Schioppettino 2006 ha vinto alla grande la degustazione alla cieca ed è diabolicamente piaciuto perfino a Marek Bieńczyk, sebbene fosse un vino italiano, di elevata acidità e di linea naturale, tutte condizioni che notoriamente fanno storcere un po’ il naso al più grande esperto di vini francesi in Polonia (alcuni suoi articoli sono su Enotime).

Quando è montata la polemica contro Bressan da parte dell’unica organizzazione del vino che fa riferimento al partito della Kyenge, con le stoccate perfino di alcuni concorrenti diretti di questo produttore e di commentatori appartenenti alla stessa area politica, sono stato molto rinfrancato dalla lettura delle sagge parole del blog in lingua inglese di Wojtek Bońkowski: «Il boicottaggio mediatico, tuttavia, è sbagliato. I giornalisti del vino o i critici non sono lì per giudicare la moralità dei produttori. Sarebbe un vicolo cieco. Quelli che boicottano forse vogliono evitare la contraddizione di condannare Bressan come persona pur lodando i suoi vini, come oggettivamente meritano». Mi aveva convinto quest’opinione moderata e di vero buonsenso dello scrittore e recensore polacco di vino che mi ha onorato della sua amicizia e di cui si trovano alcuni articoli in Enotime. Tuttavia, dopo la premiazione ho cominciato a leggere opinioni opposte. Sebbene lo Schioppettino 2006 Bressan Mastri Vinai sia una bottiglia della classe mondiale più elevata che in Polonia siano stati in grado di apprezzare fino a oggi, l’assegnazione del premio come miglior vino dell’anno 2013 in quel Paese del Baltico ha contrariato proprio… lo stesso Wojtek Bońkowski.

Ho letto perfino che non ha voluto «credere che gli amici di Magazyn Wino, conosciuti come persone con una profonda sensibilità e con una spina dorsale di ferro in quanto a principi morali, nella premiazione del produttore non abbiano visto nelle parole contro la ”scimmia nera” qualcosa di profondamente spropositato. Qualcuno di Magazyn Wino o forse l’importatore di Bressan avrebbe dovuto tirare il freno ed eliminare questo vino dalla degustazione», e anche che lui era stato invitato «alla degustazione da Magazyn Wino già dopo lo scandalo. Perciò MW era consapevole del disagio, eppure ha dato a Bressan la possibilità di vincere questa medaglia». Una tesi che è addirittura incompatibile con quello che lui stesso aveva scritto qualche giorno prima, per distinguersi allora da quella gogna mediatica che in Italia stava dando in escandescenza nello scatenarsi contro i vini di Bressan Mastri Vinai e i lavoratori, i fornitori, l’indotto che si guadagnano il pane in/con questa cantina.

E così secondo lorsignori si potrebbero soltanto lodare a pieni voti i vini dei Bressan perché sono eccellenti, ma non si devono poi premiare? Si valutano i vini oppure i punti di vista personali e i toni di esprimersi dell’enologo? Quando un produttore fa un vino che in degustazione alla cieca viene considerato il migliore, bisogna negare la medaglia alla sua cantina perché l’enologo che lo ha fatto ha dei punti di vista politicamente scorretti oppure un comportamento morale e sociale riprovevole? Ho sempre pensato che si valuta il vino e che la medaglia è per il vino e non per la persona del produttore. Parliamo di vino e non delle idee del suo creatore, perciò insisto sulla totale separazione di questi temi e sull’estraneità della politica, dell’etica e della morale nella valutazione del vino stesso. La sensazionalità (o lo scandalo) di qualsiasi dichiarazione di Bressan non ha davvero alcun significato nel contesto di un vino fatto con il buon lavoro di tutti coloro che lavorano nella sua vigna, nella sua cantina e intorno.

Un vino eccezionale è emerso in un concorso enologico, perciò può essere premiato da un Magazine “del Vino”, che non è un Magazine del ”Comportamento Morale o Sociale”, perciò può essere premiato oggi e non «fra un anno o due a condizione che l’autore chieda scusa per le parole e venga perdonato dal ministro», come infine ha ipotizzato Bońkowski. Eppure il Messaggero Veneto aveva già scritto le testuali parole di Fulvio Bressan: «Chiedo scusa delle parole che ho usato, ma erano dettate da un momento di estrema rabbia nel veder sprecare i soldi pubblici da questo ministro. Se ho usato quel linguaggio ineducato e provocatorio l’ho fatto per dimostrare che nel nostro paese ormai si viene ascoltati solo se si usano espressioni becere». Che altro doveva aggiungere? Nonostante il seguito che Wojtek ha in Polonia, in quanto il suo fiuto di buon degustatore è famoso e lo è anche in Italia, gran parte dei commentatori polacchi di vino non l’ha seguito su questa strada e nessuno dei giornalisti della redazione di Magazyn Wino non è nemmeno intervenuto nella discussione da lui sollevata su Winicjatywa.pl e non ha nemmeno risposto al suo inspiegabile cambiamento di parere.

Un altro membro della giuria ha scritto che a quel vino lui aveva dato la medaglia d’oro meritatamente e che durante il Gala a Fulvio Bressan gli aveva stretto anche la mano, ma ci ha tenuto a precisare (coda di paglia?) «senza guardarlo direttamente negli occhi». Anche sul profilo FB di Wojciech Bosak la posizione di questi due giurati non ha avuto il seguito sperato, nonostante l’elevato numero dei ”mi piace”, proprio come su Vinisfera.pl, dove io scrivo in polacco per promuovere i vini italiani.

In Polonia i vini Bressan stanno avendo un grande successo, l’importatore è uno dei più seri e cioè Vini e& Affini (www.winecorner.pl) con Beata Gawęda. Speriamo che questo meritato successo porti gran bene anche al resto dei buoni vini del nostro Paese in quel di Varsavia. Gli applausi alla premiazione, le foto e le strette di mano, nonostante la canea scatenata dalla Larner, ne sono stati il miglior viatico. E io ho voluto andare a conoscere personalmente Fulvio Bressan per conoscere meglio lui e i suoi vini. Sono stato ospitato ben due volte e da lui trovo sempre la porta aperta. Ne ho scritto anche in un articolo che potete trovare su Quanto Basta, su Lavinium e anche qui (https://www.ditestaedigola.com/bressan-mastri-vinai-gli-incisori-di-zolle-dellisonzo/) con la descrizione dei vini migliori che vi ho degustato, per chi volesse toccare con mano questa bella realtà erede dell’enologia di tradizione asburgica, ma tutta italiana.

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