Chiudi gli occhi … a cena.

“Vivi un’esperienza extrasensoriale. Siediti a tavola, chiudi gli occhi ed illumina tutti gli altri sensi. Lasciati trasportare in un’altra dimensione: il cibo, la musica ed un avvincente racconto, saranno i protagonisti della serata”.
Questo l’invito di “Chiudi gli occhi…a cena” format ideato da una giovane antropologa Laura Di Napoli, che ha unito così l’amore per il buon cibo, le tradizioni popolari e la voglia di sperimentare un nuovo modo di mangiar sano.
L’evento si è svolto a Benevento in un tradizionale ristorante slow food di “Osterie d’Italia” ovvero il “Cotton Club Osteria”, cucina di Marco Pietrantonio, giovane ma esperto cuoco delle tradizioni culinarie sannite, già nota agli appassionati di buon cibo e dai palati sopraffini.
Gli ospiti sono stati bendati all’ingresso del ristorante, è stata fatta loro la purificazione delle mani e all’improvviso sono stati rapiti da una janara che li ha resi prigionieri nel suo antro buio e misterioso. Solo grazie alla voce guida di Mefite, “colei che sta nel mezzo”, gli ospiti riusciranno a liberarsi dalle tenebre e a riconquistare la luce così da poter sfuggire alla janara.
Un’esperienza emozionante, nuova, inaspettata ed avvincente quella che hanno vissuto i commensali di Mefite, bevendo, annusando, ascoltando, toccando e mangiando completamente bendati. È stato chiesto un vero e proprio atto di fiducia da parte dell’organizzazione che ha deciso i tempi, i modi, le suggestioni e le dinamiche dell’intera cena.
Mefite ha dedicato dei piccoli racconti alle pietanze offerte agli ignari commensali”. Il gioco era quello di indovinare cosa stessero mangiando, annusando e toccando, così da ottenere la ricompensa della luce e della liberazione.
Amaltea, la capra che riuscì a tenere in vita il piccolo Zeus scappato dalle grinfie del padre Crono, cibandolo solo del suo latte, è stata l’indizio utilizzato per suggerire il prodotto misterioso dell’antipasto: il caciocavallo di Castelfranco in Miscano prodotto con latte vaccino proveniente da vacche di razza podolica.
Le attività delle tre sorelle janare invece, Violante da Pontecorvo, Maga Menandra e Maga Alcina, sono servite da canovaccio per raccontare la straordinaria tradizione della “pasta fatta in casa”: il miscuglio di polveri, sapori e raffinature, il calderone che bolliva mentre le tre lo vegliavano poste in triangolo intorno ad esso, la varietà di legumi e di spezie utilizzate per suggerire invece la portata principale della serata ovvero, le maltagliate semintegrali con il Cecio Nero del Valfortore.
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Ancora il racconto continua quando viene servita una parmigiana di frittata con verdure di stagione ed infine un dolce a base di noci e mandorle, sempre esplicando la scelta di quei determinati prodotti, simbolo delle eccellenze sannite, e la loro connessione con il tema delle janare.
Negli intervalli tra una portata e l’altra agli ospiti è stata raccontata la storia di Matteuccia da Todi, giovane donna processata ed uccisa nel 1428 perché ritenuta strega; è stato chiesto loro di lasciarsi andare ad una tecnica di rilassamento e di concentrazione per stimolare gli altri sensi a discapito della vista; hanno annusato degli oli profumati, delle spezie di montagna; hanno toccato delle lanterne sannite e ascoltato il rumore del vento e dell’acqua del fiume Sabato.
Alla fine della cena il rito scarmantico per eccellenza ha liberato tutti dal buio della janara: una scopa, simbolo fallico dell’infertilità sull’uscio della porta; il sale, fonte di salute e rimedio al malocchio, da gettarsi dietro le spalle; le noci da mangiare per purificarsi; i fili di lana, cotone, stoppa o lino da intrecciare così come le janare e poi, luce!
Un ambiente molto caldo ed accogliente ha dato il benvenuto agli ospiti che una volta sbendati hanno ammirato la splendida location che era stata allestita in tema. Numerose trecce di fili di lana per ricordare ciò che facevano le janare alle criniere dei cavalli, decine di ceri accesi, un elisir della felicità con spezie segrete, il menu della serata e la condivisione delle emozioni vissute “al buio” per completare un’esperienza unica.
di Laura Di Napoli

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