Foggia – Libando 2015. Il Festival dello Street food in una delle città del cibo di strada.

arrosticini

Che tutto il meridione sia luogo di resilienza del cibo di strada è dato di fatto.
Basta girare nelle città del sud per poter incontrare da Napoli a Bari, da Foggia a Palermo, venditori di cibo da consumarsi rapidamente in maniera frugale.
Che poi questo genere di cibo sia stato, in un tempo ormai lontano il cibo che si consumava ordinariamente quando si era fuori casa, forse l’unico cibo venduto per strada, è altro dato di fatto storicamente provato.
Quasi del tutto spazzato via dalle stringenti normative sanitarie negli anni ottanta ha avuto una sua lenta rinascita con l’adattamento di piccoli chioschetti alle nuove regole o con la strenua resistenza di intere amministrazioni comunali o regionali alla tradizione locale con apposite Leggi in deroga. Un esempio su tutti la normativa della Regione Puglia sui fornelli della Murgia che ha consentito la loro sopravvivenza e rifiorire in tutta la Regione.
In effetti, un po’ in tutta italiana, ci si è mossi a macchia di leopardo, intervenendo ad hoc in alcuni luoghi o fingendo di non vedere in altri. Sta di fatto che, grazie a Dio, oggi tale pratica di preparare il cibo in strada, mantenendo in vita antiche ricette che avrebbero rischiato anche di scomparire per lunghezza della preparazione o cambiamento di abitudini alimentari, sopravvive e si muove grazie a 3 associazioni che riuniscono sotto il proprio marchio ombrello tutti gli stret fooder d’Italia.
Tra queste la Street Food è la meglio rappresentata ed è approdata nei giorni 17-18 e 19 a Foggia nell’ambito della Kermesse Libando che allo stato conta circa 40 appuntamenti in numerose piazze d’Italia.
E che Foggia, città di carni alla brace consumate in piedi, di peperoni e carciofi abbrustoliti agli angoli di strada e di scagliuozzi caldi venduti a ritmi vertiginosi, fosse uno dei suoi palcoscenici ideali lo hanno dimostrato i numeri di affluenza che nella giornata del 18 hanno mandato in tilt il traffico della zona pedonale dove era quasi impssibile potersi muovere a piedi senza dover impiegare tempi biblici solo per percorrere le strette viuzze del centro storico.
Un gran successo di pubblico e consensi nell’ambito del quale la nostra testata, impegnata come media partner, è stata presente nella giornata di domenica 19 per recensire lo Street food presente nelle piazze foggiane. Ma non solo cibo di strada, anche arte, cooking show e musica sono state l’ossatura dell’intera manifestazione.
Giungo a metà mattinata mentre le piazze ricominciano a rianimarsi e l’aria a riempirsi lentamente dei profumi del cibo che cuoce lentamente. La grande “giostra del cibo” ha da poco ricominciato a rimettersi in moto ed io, come molti altri presenti, ho il ruolo del bambino che salta su una per correre, poi, subito alla successiva.
I primi ad incontrare sono gli abruzzesi con i loro arrosticini che cuociono lentamente sulle griglie a canalina. Arrivano da San Vito Teatino.
Poco più in là i siciliani arrivato da Palermo con Pani ca’ meuza, Pane e panelle e dei cannoli che vengono farciti sotto i miei occhi.

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Tra gli uni e gli altri chioschi che vendono insalate di polpi, focacce, taralli, olive e burrate. E nel mentre sono lì sotto una finestra di un locale ormai chiuso che reca ancora la scritta degli anni sessanta “Cucina moderna” mi passa accanto una enorme zuppiera con orecchiette sugo e ricotta.

Mi rendo conto che spesso il cibo lo si è graduato creando delle scale gerarchiche d’importanza che non dovrebbero mai esistere. E in tale graduazione si è finiti con il mettere all’ultimo gradino proprio quella che è la matrice del cibo. Lo Street Food.
Tra i vari chioschi di vendita di cibo compaiono anche però produttori che presentano le loro particolarità. Accanto al Gin all’olio, vera e propria chicca foggiana nata dall’estro di un ragazzo che ha una bellissima enoteca in centro, c’è un giovane Troiano che dopo la Laurea in tecnologia degli alimenti e alcune specializzazioni all’estero, nel ritornare in patria si è trovato tra le mani una documentazione umbra che raccontava di una pratica norcina degli inizi del ‘900 nella quale l’insaccamento e la lavorazione dei salumi era coadiuvata dall’uso sapiente del miele.
E’ così che Raffaele Giannelli, giovane rampollo di una famiglia di macellai da generazioni, rientrato a Troja ha deciso di provare questa antica innovativa tecnica. Dopo centinaia di prove per calibrare la ricetta ha ottenuto il suo prodotto che, giovandosi dell’uso del miele, ha ottenuto uno starter naturale per l’innesco della fermentazione da un lato e un potentissimo conservante dall’altro.
Così sono nati i salumi con zero additivi dell’Azienda Giannelli pochi anni orsono. Maturati lievemente in cella, grazie a successive lunghe maturazioni in cantine portano con se la solubilità dei grassi dei grandi salumi e i profumi degli insaccati del sud di una volta.
Nessuna traccia ne al naso, né tantomeno al gusto degli zuccheri del miele che con la fermentazione sono quasi del tutto scomparsi agendo da sanificatori delle carni e loro conservanti naturali. Se la Legge non imponesse la specifica di tale ingrediente in etichetta non ne sarebbe possibile il reperimento al gusto e all’olfatto.

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Ma sono qui per lo Street Food soprattutto e l’appetito cresce. In una seconda piazza, nei pressi del Duomo, incontro i toscani del Lampredotto, due simpatici toscani (l’uno pisano e l’altro fiorentino, giusto a sfatare il mito della storica rivalità narrata da sempre) che insieme, tra pentole che sobbollono lentamente servono la trippa alla fiorentina, il caciucco del trippaio (antica zuppa di frattaglie con tutte le trippe e stomaci del bue) e il mitico panino con il lampredotto (il quarto stomaco del bue – abomaso), lentamente lessato per ore e poi ricotto in un brodo con cipolla, sedano, odori e concentrato di pomodoro.
Non può sfuggire al mio assaggio e così assisto ad un rito meraviglioso. Sollevato dalla pentola viene tagliuzzato finemente e posto su un panino. Sale, pepe e salsa verde vengono lievemente arrossati da un olio santo di peperoncino. Poi è la volta del rapido bagnetto nel brodo alla parte superiore del panino che lo ricoprirà. E’ pronto. Ed io comincio il mio viaggio mistico. Lì proprio sotto il Duomo.

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Nel mentre si compiva il rito del lampredotto, i fumi di una carne lievemente grassa a me molto nota mi avevano investito. Termino il panino e mi porto da Antonio di Alberobello che, assieme alla moglie arrostisce senza soluzione di continuità lunghissimi spiedi sui quali sono infilzate decine di bombette. La bombetta è un involtino di capocollo di maiale all’interno del quale trova posto un impasto della stessa carne di capocollo con un 20% circa di grasso di maiale, sale e formaggio. Il risultato è un boccone da Re che si consuma lentamente per strada accompagnandolo in un cono dove vi sono minomo 5 pezzi, con un pezzo di pane. Una sorta di pane con fettina di carne a mò di involtino da passeggio.

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In una piazzetta limitrofa Libando prosegue con il suo street food. Ed è qui che incontro Mario Ottaviano ed Ersilia Montalto dell’Hotel degli Aranci di Vieste (FG). Sono qui con la loro nuova idea: “Panini di mare”, un’idea che affonda tutte le sue radici nella Laurea in tecnologia degli alimenti di Mario, il quale sfruttando il collagene degli alimenti e forte di un fortunato incontro con uno specialista in chimica degli alimenti piemontese ha brevettato le mattonelle di pesce (polpo, gamberi, tonno, ecc) e il Kebab di pesce.
Le prime tagliate sottili vanno a farcire dei panini, Il secondo, totalmente mediterraneo emula in tutto e per tutto un kebab di carne sia per forma che per metodologia di cottura.
Mi spiega Mario che per ottenere il kebab di pesce ha dovuto fare molte prove affinché con la sua cottura non si aprisse e la torre di prodotto non si aprisse. Così al centro c’è finito lo sgombro, poi più esternamente i gamberi e poi a seguire seppia e polpo. Cotto a bassa temperatura e poi “formato” grazie alla catena del freddo deve solo rosolare lentamente accanto al grill del kebab per poi essere affettato e replicare in tutto e per tutto il kebab mediorientale che conosciamo. Uno street food decisamente nuovo e interessante.

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Lungo la linea di stand si prosegue con Claudio Pennesi, italiano nato e vissuto ad Alicante in Spagna e trasferitosi in Italia dove gira di fiera in fiera. La cucina proposta è quella tipica delle Posade ispaniche dell’area di Alicante. Paella in testa ma anche cibi di matrice messicana come il chili con carne, ricco piatto di carne tritata, fagioli e peeproncino, le tacos e l’immancabile sangria (decisamente ben fatta e buona). Mi racconta la moglie che è un talebano nella scelta degli ingredienti, pretendendo finanche che la stessa sangria sia fatta con vino spagnolo.

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Mi colpisce una strana bandiera che mi ricorda quella argentina ma con l’aggiunta di un volto che mi è davvero familiare. Osservo meglio..si! è proprio Maradona quello lì!
O sono napoletani o argentini non si scappa. Mi avvicino e mi ritrovo investito dal buon odore di carni che grigliato lentamente. Al di là del grill Manolo, giovane dai tipici tratti sudamericani. Qui, a prezzi davvero più che onesti è possibile mangiare l’asado, le costine di maiale e i chorizos (lunghissime salsicce che vengono cote intere e poi riscaldate e finite di cottura su altra griglia.

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Poco più in là insistono due chioschi ravvicinati. Uno dedicato alla pasticceria napoletana con in bella vista le sfogliatelle ricce e frolle e babà e un altro che attira la mia attenzione per dei lunghi spiedi che vedo tra le mani delle persone.
Mi avvicino e ne resto meravigliato sgranando gli occhi come quando ero bambino.
Una macchina affetta a spirale delle patate in maniera tale che una volta infilzate su un lungo spiedo di legno tirate giù formino una spirale. Il tutto viene fritto interamente in una friggitrice. Non so come si chiamino ma le ho battezzate le “Spiropatate”. Il chiosco, non per esser autocelebrativi è di un Irpino. 😀

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Nel mentre mi riporto nella piazza del Duomo più che soddisfatto degli assaggi e dell’organizzazione noto una bottega aperta con la scritta Macelleria da Paolo. Mi avvicino perchè è l’unica aperta e d entro. Qui Paolo e prima di lui il padre non solo svolgono la propria attività di macellai dal 1969 ma ogni sera arrostiscono carni. Una sorta di street food locale con propria fissa dimora a riprova della resilienza di questo cibo nella città di Foggia.

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E’ ormai ora di andar via ma non senza la tappa che in onore alla bella Foggia e alle tradizioni foggiane ho riservato deliberatamente per ultima.
La sosta allo stand Sherwood di Matteo Tomaiuolo, il re dei torcinelli foggiani, eletto primo locale di Street Food di Puglia e tra i migliori 10 d’Italia il chiosco di Matteo è il vero tempio del torcinello, un involtino di interiora di agenllo che avvolge un rametto di prezzemolo ripiegato su se stesso con pepe e formaggio.
I torcinelli arrostiscono sulla brace lentamente e per i loro sentori ricordano tutta la tradizione pastorale della transumanza che proprio da Foggia aveva uno dei suoi luoghi di partenza ed una sua porta daziaria poco distante da questo luogo.
Per controllare la cottura Matteo gira e rigira gli spiedi sollevandoli ed io dietro vedo il Duomo di Foggia. Lì tra sacro e profano.

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Grazie a Libando di averci coinvolti.

di Giustino Catalano

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