Negli attuali orizzonti culturali il cibo gioca un ruolo importante; Il cibo è un racconto, dice molto di altro che non sia la trivializzazione di un mero atto di sussistenza.
Il suo rapporto quotidiano con l’esistenza umana ci condurrebbe banalmente a ritenerlo una “commodity” trascurando le grandi fetta di diverse umanità che la sua produzione lascia intuire ma dalle quali non si puo prescindere, or come non mai, non lasciando inesplorati i sentieri di agro ecologie, di capitalismi e finanze feroci, di importazioni legittime e di dumping, in piena concordanza con Luigi Sada, giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno che nei primi anni 70 scrive questo simpatico quanto efficace volume, mi ispirerei nel dire non tanto “alla descrizione compiaciuta e pruriginosa delle preziosità culinarie”, ma “ al popolo barese (oggi diremmo delle terre di Bari), visto attraverso lo spiraglio rude ma affascinante dei suoi tipici ed inconfondibili gusti nel preparare e nel consumare cibi e bevande…”
Il libro che voglio raccontare aveva un committente d’eccezione, quel giovane Filippo Carella, immortale ed inveterato “oste” ancor ‘oggi in attività Carbonara, che intuì come la piacevolezza del vivere non fosse stata soppressa da un cataclisma o da una guerra o dalla “spagnola”, ma che la si stava soltanto perdendo per via di un cambio di velocità…e ne avea tutta la ragione e preoccupazione per affermarlo tanto che Carlin Petrini arrivò, solo nel 1986, a condividere la condanna….
Nei caffè delle città di Puglia, come il BaTaFoBrLe *, ora bella Osteria “Corte Terranima, il Ronchi dei Fratelli Striccoli, premiata officina altamurana del Padre Peppe, la vita si “percorreva” a 60 chilometri orari; oggi nei BAR, che di fatto soppiantarono tali templi culturali negli anni a seguire, la vita cominciò a scorrere tanto veloce da non coglierne dettagli….
Il libro di SADA, ben corredato dalle etichette di birra, vino e amari, tutte rigorosamente in originale quale prova testimoniale di un vissuto ancora pulsante e non ancora consegnato alla tecnologia delle fotocopie, fu concepito di fatto negli anni del boom economico, e, partendo dal recupero della memoria storica cittadina sui primi luoghi dell’accoglienza, declinava al meglio il desiderio di quel benessere, figlio della conquista delle ferie pagate che muovevano l’economia e di quel sogno concreto del posto fisso che diventava realtà, invitando implicitamente al rito dell’“andar fuori”, non solo per pranzo, ma anche per la conoscenza ed il suo piacere, partendo proprio dalla testimonianza di cosa fu l’osteria dai primi del ‘900 (da hospes=rifugio).
Da queste mosse, evoluzioni antropologiche, da queste ambizioni “altre” dei ceti meno abbienti, che ispireranno la ritualità, tutt’ora mantenuta, del pranzo domenicale al ristorante, origina questa riflessione raccontata.
Figli dei trattori d’inizio secolo, dal caffè di “Sacchette” e “Risorgimento”, (FOTO)dalla gelateria Lippolis (FOTO) fino ai locali-primi ristoranti XX settembre” di Michele Carbonara ( u trattor’) (FOTO alle spalle del Petruzzelli e Posillipo , per finire alla mitica pasticceria Stoppani (FOTO) con tanto di corredo orchestrale condotto dal maestro Epifani, i nuovi locali di terre di bari eredi di tali magnificenze evocavano , ne ricordo ancora il suono delle parole di mio padre, avvolto da aura di rispetto se non di venerazione , la rappresentazione, per me e molti miei coevi simultanea compresenza di autorevolezza e mitologia. I nomi?…Osteria la Taberna a Carbonara, in centro a Bari La Pignata, Il Gambero al porto e La Brasciola di “Faiel’” a via Dante, La Caravella in Fiera del Levante, Van Westerout a Mola di Bari e Tuccino…poco piu giu’ di li, a Polignano; ancora u’ Cicatidde ad Altamura, pasticceria “Portoghese” (Agostino), primo pasticcere murgiano anche se di costruzione barese, ca va sans dire, modernizzatore se non competitor delle mitiche Clarisse di Altamura, al secolo Monache di Santa Chiara, produttrici dei dolci “sponsali” e di indimenticabili rosoli….
Dell’oggi si puo essere ben fieri cominciando col raccontare, ma ancora lo faremo per le terre di Bari, di Torre Pelosa, ora Torre a Mare.
Il cambio generazionale gia alla fine dello scorso millennio, si annuncia di tutto riguardo, sempre più gravido di segnali indicativi di una cucina marinara che necessariamente dovrà tener conto di un desiderio di ricercatezza, non parlo per gli ingredienti scelti rigorosamente freschissimi, quanto per metodi di assemblaggio, cottura e presentazione oltre che per la seduzione (non piu grigliate selvagge e fritture da torneo di calcetto) ; il tutto sempre più sostenuto dall’oramai indiscusso ruolo del vino che implica cosi la figura di un nuovo oste dotato cioè di competenza, conoscenza enologica e, soprattutto, tanto danaro necessario ad attrezzare una cantina degna di questo nome, che possa soddisfare le richieste dell’avventore. (Borsa piena e buoni destrieri ….lo avevamo già sentito …)
Cosi, forse in anticipo rispetto ad altri suoi colleghi della ristorazione “marinara”, Diego Biancofiore, classe 1972…(l’anno di pubblicazione del libro adorabile di cui s’è detto), insieme alla moglie Daniela Cosma, si affaccia al mondo della ristorazione prendendo a piene mani dal grande cilindro della Biodinamica, dei vini macerati, e delle alte belle cose che l’agricoltura enoica offre.
Siamo alla fine degli anni 90 ed In questa deriva Diego è perfetto quando intuisce che il vino puo, da solo, rappresentare il richiamo per il suo locale, tanto che attrezzerà a Torre a Mare il primo ristorante con una “santabarbara” di bottiglie da far tremare …i calici….con possibilità di aperitivo a pochi passi dal ristorante stesso, oltre che recuperando, a partire proprio dalla sua reale storia familiare di uomini e famiglie del mare, con Nicola Cinquepalmi, suo amico da sempre e dotato di una fantastica maestria nell’innovazione, l’osteria che porterà il nome del suo avo, Varvamingo.
Stava lì, infatti, il pescatore di Torre Pelosa, a scrutare il cielo ed il mare mai con le scarpe ai piedi, per circa 3 quarti di secolo, A TUTTI noto come Mingucc’ Varvaun: scaricare le reti, SFIBRARE (arricciare) polpi ed allievi di seppia; vendere o cucinare il suo pescato sulla pubblica via era la sua vita, parte indelebile del genius loci di Torre a Mare, icona di un bene immateriale di cui, dora in poi, difficilmente potrà dimenticarsi..
Ora, nel suo garbatissimo locale, sito in Corso Vittorio Emanuele a Bari, ci presenta un elaborato, già ..perché gli alimenti vanno “trattati” per essere trasformarti in pietanze, e che piacevolmente consegnamo al vostro diletto, onorando cosi il bel lavoro di Giacinto Fanelli, Chef, anno di nascita 1987 di Vito Cavone giovanissimo sous chef con qualche mugolio per la ridotta capacità gastrica che mi obbligheranno a numerosi passaggi prima di definire il necessario orizzonte di questo nuovo “Biancofiore”**
*BaTaFoBrLe acronimo delle iniziali delle province pugliesi (FOTO TERRANIMA)
**Corso Vittorio Emanuele II°, n. 13_70122BARI_telefono 080 5235446
chiusura: seconda metà di gennaio; 35,00€ vini esclusi.
di Michele Polignieri
2 thoughts on “I “Tabernacoli” baresi dell’onesto peccato -Prima Tappa.”
Bellissimo, dettagliato e ricco di memoria, quella che oggi è importante, più che mai, preservare. Grazie infinite, Michele.
Grazie,
per me solo il senso di un racconto che va oltre il limite placentare del tovagliolo.
Grazie ancora Duccio