La Daunia capitale della felicità. Il forno di Trilussa.

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E’ di pochi anni fa una canzone dove il ritornello ripeteva “che rumore fa la felicità?”. Una domanda alla quale apparentemente non si può dar risposta, eppure giorni fa, grazie a Peppe Zullo e il suo mondo io l’ho trovata.
Mi racconta Gianni Ferramosca (citerò le sue parole perché più che incisive) che poco più in là di Orsara di Puglia, nei tenimenti dell’agro di Lucera, vi è un appezzamento che porta il nome di “Capotavola”. Tale appellativo lo deve al fatto che nelle giornate più nitide da tale punto è possibile vedere tutta la Puglia e immaginariamente sedersi ad una tavola dove via via che la si percorre si incontrano decine, centinaia di sapori e tradizioni.
Capotavola rende la Puglia un’unica area e non le tante Puglie che qualcuno ad ogni costo vuol distinguere così come esiste per il mio Sannio un unico Sannio e non tanti territori, benchè si scherzi su Caudini, Caraceni e altro. Capotavola è al di là delle montagne che vedo dal mio Sannio ad una manciata di chilometri. Lì con tutta la Daunia e la Capitanata attaccata alla città di Foggia.
Lunedì scorso sono andato a trovare Peppe Zullo ad Orsara di Puglia in occasione della diciottesima edizione di “Appuntamento con la Daunia”. Il tema di quest’anno era “Cibo e felicità”. Molti i relatori invitati a parlare e dire la loro su tale argomento.
E mentre ascoltavo chi incriminava quelli che fanno foto dei cibi e riempiono le proprie bacheche dei social network o chi lanciava un’invettiva contro chi fa comunicazione del cibo mi chiedevo se esistesse una vera ricetta per la felicità, una strada codificata da dover seguire.
Che il cibo spesso sia show e non elemento di piacere come dovrebbe essere è una verità ma che debba essere condannato chi esprime il proprio piacere in maniera diversa dalla nostra mi è parso eccessivo.
Del resto, a ben pensarci, non è il piacere inteso come elemento della felicità che un cibo può donarci a riempire i locali ma, piuttosto, quella miriade di persone che nell’estrinsecare, ai propri contatti con il proprio status quel piatto piuttosto che quell’altro, il piacere di averlo mangiato diffondono l’esistenza di quel locale o di quella preparazione. Una comunicazione involontaria ed elementare che tecnicamente si chiama ad “effetto domino”, ma che riempie decisamente i locali. Che poi ci sia bisogno che la comunicazione la faccia chi l’ha studiata e non chi si è improvvisato è pura verità ma anche qui ci andrei cauto con l’additare chiunque la faccia tout court. Spesso ci sono fior di professionisti che non hanno idea di che macello stanno combinando ai propri committenti e piccoli nomi che lo fanno con sapienza e intelligenza sopraffina, e sento di poterlo affermare con serenità dopo 30 anni e più.
Ma divago e non è questa la sede. Qui intendo parlare di felicità e di che rumore possa essa fare.
Finito l’evento sono stato portato a visitare il forno di Angelo Trilussa su ad Orsara. Il comune è bellissimo ed ha una storia antichissima di condivisione e collaborazione tra i cittadini. Un po’ quello spirito contadino che animava tutti i luoghi d’Italia e che oggi è solo un ricordo.
Lì con l’amico Gianni abbiamo atteso l’arrivo di Angelo che, di lì a poco, è arrivato con lo Chef Nazario Biscotti e la moglie Lucia Schiavone (partner e collega nella loro avventura sul Lago di Lesina). Fino ad allora avevo osservato l’antico forno di Angelo, appartenente alla sua famiglia da 5 generazioni ma risalente al 1526. Più che un forno una stanza contadina di 150 anni fa con tanto di madia , vetrinette, tavolo con il ripiano in marmo e sedie impagliate. Un salto nel passato. E lì il forno che stacca dalla stanza con il soffitto annerito dai fumi di 5 secoli di pani e cotture. Un forno a paglia che bruciando in una bocca sottostante alimenta la bocca dove si cuoce portando la temperatura sino a 500 gradi!
Angelo è orsarese doc come Zullo, poche parole e tanti fatti, sorriso stampato sulle labbra e mezzo sigaro che rotea spento da un angolo all’altro. La bocca di fuoco sottostante il forno emette gli scoppiettii della legna secca che riscalda il piano sovrastante.
Nazario Biscotti è uomo di laguna, di pesca, di artigianalità, tradizione e tecnica insieme. Ed è proprio lui a dare il via a delle inattese danze di rumori. In effetti è come se il mio udito d’improvviso si fosse affinato fino a percepire l’impercettibile. Tira fuori da una piccola tracolla una bottarga di muggine sottovuoto. Il coltello emette un suono liscio sulla plastica del sottovuoto e dall’interno arriva uno “sbuffo” lievemente salato. Poi le mani di Nazario spezzano le baffe lasciando che un suono cartaceo spezzi il silenzio religioso che ci accomuna. Inizia ad affettare sottile seguendo il verso longitudinalmente nel mentre le fette di un vivido color oro cadono leggere una sull’altra. Angelo Trilussa afferra il coltello e poggiato con un suono sordo sul tavolo di marmo un pezzo di pane da 5 chili con il coltello lo percorre tagliandolo a metà mentre i pezzi di crosta croccante e brunita cadono ribalzando irregolari qui e là sul marmo del tavolo emettendo lievi suoni d’impatto.
Mi desta da questa scena il rumore sordo del tappo di sughero che fuoriesce da una bottiglia di Tuccanese, vino locale di uve autoctone rosso violacee e lievementi amabili. Il vino cadendo in grossi bicchieri da cucina di vetro emette un gorgoglio e schizza di tanto in tanto sul ripiano di marmo colorandolo di rosso.
Nel mentre assaggio quel pane di lievito madre senza prezzo partendo dalla bottarga per poi trovare il delicato sapore di grano e i sentori aciduli del “crescente” entrano salutando e infilandosi in una stanza attigua Tony Santagata ed altri ospiti della festa di Zullo.
Pochi secondi e sento il rumore di una teglia di ferro pesante scivolarmi a destra. Ruoto il capo e vedo una signora orsarese che ha appena sfornato una ciambotta al forno. Sfrigolano ancora le patate con melanzane, funghi e peperoni. Il fumo danza sinuoso mentre vedo tra uno scoppiettio e l’altro la panatura e il formaggio sovrastante scivolare e brunirsi a vista d’occhio. La donna versa generosa nei piatti come se fossimo appena tornati dai campi dopo una dura giornata di lavoro.
Ma è ora di andare. Abbracci, ringraziamenti, sorrisi e strette di mano.
Scendiamo nel silenzio della sera le scale che di lì conducono verso le auto e proprio lì come per un commiato in grande stile c’è Peppe Zullo con un giornalista australiano. Brevi scambi in inglese e si va via.
Lascio alle spalle la Daunia con direzione Sannio con il corredo di mille rumori ascoltati in poco più di due ore. Quella è per me la felicità e il suo suono.

di Giustino Catalano
Foto Gianni Ferramosca
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