Tcholent o Hamin: il pentolone (ebraico) delle meraviglie

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Anche se l’usanza si sta perdendo, nella tradizione ebraica di tutto il mondo il pentolone del sabato è sempre stato una costante.
Contiene il pasto completo che ogni famiglia consuma(va) il sabato a pranzo, dopo il ritorno degli uomini dalla sinagoga.
Il pasto completo cotto nel pentolone si chiama “tcholent” o “tchulent” in yiddish, la lingua di origine tedesca degli ebrei askenaziti dell’Europa dell’Est, mentre nelle lingue usate dai sefarditi del Mediterraneo, si chiama “hamin” in giudeo-spagnolo, “dafina”, “t’fina” o “shkina” in guideo-arabo del Maghreb, mentre in Medioriente lo chiamano “tebit”.
Gli ebrei della Persia e del Caucaso hanno anche loro il pentolone, che chiamano “oshisabo”.
L’usanza del pasto completo cotto nel pentolone sigillato nasce dall’esigenza di consumare un pranzo caldo, abbondante e vario il sabato, non potendo, però, accendere o spegnere il fuoco dal venerdì sera al sabato sera, cioè dall’entrata fino all’uscita dello Shabbat.
Gli ebrei hanno quindi risolto il problema creando una specie di “stracotto” di carne, verdure, legumi, uova ed altri ingredienti, che cuociono insieme nel pentolone sigillato o chiuso ermeticamente, durante tutta la notte tra il venerdì e il sabato.
Nei paesi del Mediterraneo, all’origine, il pentolone si seppelliva in una buca scavata in terra e piena di brace, poi nacque l’usanza di portare il pentolone nei forni comuni, dai fornai, o addirittura nelle ceneri del fuoco che scaldava l’acqua degli “hammam” (bagni pubblici), e di ritirarlo il sabato mattina.
In Europa dell’Est, il pentolone cuoceva nei forni comuni o dai fornai, per chi non aveva il forno in casa. In tempi più recenti ed attualmente viene messo nel forno di casa o su placche riscaldanti, a bassa temperatura.
Ma cosa contiene questo “pentolone delle meraviglie”? Innanzitutto carne, casher naturalmente, di manzo o di oca o pollo nella versione askenazita; di manzo, vitello, agnello o montone nella versione sefardita.
Si aggiunge spesso un osso “da midollo” o un piede, in modo da ottenere consistenza untuosa.
Nel “hamin” sefardita, la carne viene usata in due modi: a pezzi e macinata. Con la carne macinata si fa un polpettone, che cuocerà avvolto in budello di manzo. Gli askenaziti, invece, confezionano il “kishke”, una sorta di polpettone, fatto con mollica di pane, grasso di pollo, uova e spezie, sempre avvolto nel budello oppure nella pelle del collo di pollo.
Nella versione marocchina, si fa un polpettone dolce a base di mollica di pane, noci pestate, zucchero, uova e cannella.
Poi vengono i cereali e i legumi: orzo o grano saraceno, fagioli o lenticchie nella versione askenazita, grano verde, riso e ceci in quella sefardita.
I cereali e il riso vengono spesso aggiunti al pentolone messi in sacchetti di tela (anticamente) o di plastica alimentare (oggi), conditi e con acqua in proporzione giusta, con lo spazio adatto al loro aumento di volume. Le patate sono universali, con la particolarità che nel Mediterraneo spesso si usa anche la patata dolce, e le verdure scarseggiano, tranne che nel “hamin” livornese che comprende la bietola.
Poi vengono le uova. Le uova hanno una valenza simbolica importante nella tradizione ebraica: sono simbolo di vita e rinascita.
Nel pentolone ci sono sempre, e vanno aggiunte intere con il guscio (accuratamente lavato).
Cuociono anch’esse 12 ore e assorbono i profumi degli altri ingredienti.
Il bianco diventa marroncino e il tuorlo assume una deliziosa consistenza burrosa.
A volte si cuociono da parte, con fondi di caffè e bucce di cipolle, e i sefarditi li chiamano “guevos haminados”.
Vengono usati, poi, diversi condimenti e spezie, a seconda delle zone.
Gli askenaziti condiscono il loro “tcholent” con miele, pepe, chiodo di garofano e cannella o paprika, mentre i sefarditi usano miele e concentrato di pomodoro, e tutte le spezie che si usano nei loro paesi, dalla cannella alla curcuma al cumino, al peperoncino dolce o piccante, e via dicendo.
Tutti poi aggiungono molta cipolla e aglio, e naturalmente sale e pepe.
Bene, una volta che tutti gli ingredienti sono stati messi nel pentolone, lo si fa “partire” a bollore per un breve periodo, lo si chiude ermeticamente e lo si mette a cuocere a fuoco lento per tutta la notte.
Il risultato, l’indomani, è commovente: carni fondanti, cereali morbidi pieni di sapori, legumi deliziosi, patate che si sciolgono in bocca, polpettoni squisiti, e una salsa che è un tripudio di profumi e sapori.
Gli askenaziti, spesso, sgusciano le uova prima di servire, e le rimettono nel pentolone.
I sefarditi, invece, aggiungono spesso prugne secche e mandorle poco prima di servire, giusto il tempo per ammorbidirle.
Al momento di servire, alcuni portano il pentolone direttamente in tavola per aprirlo davanti a tutti i commensali, altri dividono tutte le diverse pietanze su dei vassoi e li portano in tavola insieme.
Dire che “tcholent” e “hamin” siano pietanze delicate e leggere sarebbe mentire: è cibo robusto e molto saporito, che va consumato lentamente durante un pranzo collettivo conviviale e lungo, che spesso precede una bella siesta, tanto è Shabbat, il giorno del riposo…

Qui una ricetta-base di tcholent, di Eleonora Colagrosso sul suo blog “Burro e Miele”:
http://burro-e-miele.blogspot.it/2011/02/la-shoah-hanna-e-il-tcholent.html

di Jean-Michel Carasso
foto sottostante tratta dal sito:http://blog.eteacherhebrew.com/

Hamin

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