C’è stato un tempo nel quale gli uomini si facevano da sé. Si forgiavano nelle mille difficoltà e vivevano con grandissima dignità.
Di quel tempo ho una vivida memoria storica non perché ne facessi parte ma solo perché di quegli uomini ne ho conosciuti tantissimi.
E non era solo mio nonno o il fratello, ma tanti e tanti altri. Ricordo quando mio nonno ci vietava di mangiare sulla strada nel timore che qualcuno, non potendoselo permettere, desiderasse il pane (spesso senza nulla dentro) che mangiavamo.
Anche se si possedeva, si tendeva a salvaguardare la dignità di chi non poteva. Il rispetto aveva un contenuto, un peso, uno spessore tangibile che non passava solo nelle strette salde di mano che suggellavano accordi con tanti soldi da versare in futuro a fronte di merce presa al momento ma anche attraverso il cercare di non umiliare nessuno.
Chi aveva non ostentava e chi non aveva non mostrava di desiderare. L’equilibrio perfetto che faceva sì che tutti fossero in certo qual modo eguali.

La storia che racconterò oggi qui è poco nota ma narra anche di questo e di come un gesto evitasse a chi lo ha compiuto di dover chiamare “ladro, mariuolo” un altro uomo costretto a rubare anche solo per garantirsi il minimo.
Siamo nell’immediato dopo guerra e ad Avellino il benestante imprenditore Nunzio LUCIANO è titolare di uno dei ristoranti più accorsati di Avellino città. Sito al pian terreno dell’Hotel Centrale sito in Piazza Libertà.

Piazza Libertà è il cuore pulsante ancora oggi di Avellino e l’Hotel Centrale probabilmente coincideva con l’attuale Palazzo del Governo ma dopo i bombardamenti subiti la toponomastica ha cambiato i connotati della Piazza e ci restano solo poche foto.

Il Restaurant, così si legge su alcune tabelle reperibili in foto anteguerra, era probabilmente il migliore della città tanto che prima del dopoguerra era spesso frequentato da Gerarchi fascisti e pare che in visita nel capoluogo irpino lo stesso Mussolini vi avesse mangiato.
A quei tempi, anche nel dopoguerra, locali del genere non cessavano di essere di grande livello benché gli stenti e le difficoltà ne avessero assottigliato la clientela per evidenti condizioni contingenti i tempi di ricostruzione.
In questo periodo il divario tra poveri e ricchi era ancora enorme al punto tale che spesso cose che ci appaiono normali come tavoli, sedie, piatti e posate fossero una rarità per moltissime case. Non è infrequente vedere foto dove i commensali mangiavano tutti dallo stesso piatto (gesto che avrebbe ingenerato l’espressione “quando mai abbiamo mangiato nello stesso piatto” per lasciar intendere il grado di confidenza tra due soggetti).
In un clima del genere il film “Ladri di biciclette” del 1948 disegna una cartolina precisa del clima di sbandamento, fame e demoralizzazione che attraversava la società.
Locali come quelli di Nunzio Luciano, del quale mi piacerebbe leggere un menu per ritrovare piatti menzionati con diciture d’antan come salsa supreme o pollo alla Kiev, ovviamente non sfuggivano alla logica della depredazione.
E qui torna il discorso sugli uomini e sulla dignità. Per evitare di subire i furti e per evitare probabilmente di dover umiliare qualcuno, il sagace imprenditore si ingegnò con uno stratagemma che risultò a dir poco geniale.
Fece incidere su tutte le posate la dicitura “rubato al ristorante Luciani” con un evidente errore dell’incisore.
E’ possibile che il lampo di genio sia giunto fino alle orecchie del regista di “Totò, Peppino e i fuorilegge” del 1956 dove una tirchissima Titina De Filippo nei panni della moglie di Totò riceve a cena Peppino e cenano con le posate incatenate al tavolo per evitarne il furto da parte di disonesti commensali.

Nunzio Luciano era il bisnonno di Alfonso Siniscalchi, mio amico, Capo Grafico e socio a Barcellona.
Ecce homo, ecce dignitas!

Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.