“Divide et Impera”. Report e la pizza contemporanea: Iovene torna a parlare di pizza e pizzaioli e va a ravanare nell’immondizia trascinandoci un po’ tutti.

“Divide et Impera”. Report e la pizza contemporanea: Iovene torna a parlare di pizza e pizzaioli e va a ravanare nell’immondizia trascinandoci un po’ tutti.

di Giustino Catalano

 

Chissà cosa avranno pensato i pizzaioli che hanno visto i loro colleghi in TV che ratificavano le castronerie inaudite che Bernardo Iovene, il giornalista di Report che nel 2014, con l’aiuto di Vincenzo Pagano, aveva fatto scoppiare un putiferio per il suo servizio sulla pizza, ribadiva con la baldanza di chi parla senza alcun contraddittorio.

All’epoca le pietre dello scandalo furono i forni a legna che bruciavano le pizze e il fumo che si accumulava sulle stesse, la farina 00, a loro dire dannosa e non adatta ad una pizza salutare; i tempi di lievitazione troppo bassi ed infine l’uso di prodotti dalla dubbia provenienza.

La risposta alle innumerevoli sciocchezze, una su tutte che il fumo penetrasse la pizza (un corpo freddo che penetra un corpo caldo ancora lo si doveva vedere in fisica – hic sunt ignorantes!), non si era fatta attendere. Luciano Pignataro aveva difeso la tradizione con una mitragliata di articoli a favore della stessa e dei pizzaioli napoletani. Sorbillo era sceso in campo mostrando come la pala che si adoperava in pizzeria fosse bucata (Iovene non sapeva forse nemmeno questo), l’Istituto di zooprofilassi nella persona del prof. Limone aveva stabilito scientificamente la sicurezza alimentare del prodotto e il sottoscritto, nel suo piccolo e da napoletano di nascita dei Miracoli – traversa della Sanità -, non aveva mancato di dire la sua in più occasioni.

Dopo otto anni, Iovene è tornato a Napoli e a suo dire ha trovato una situazione ben differente. È migliorata la scelta delle farine, degli ingredienti e sono stati introdotti forni a gas ed elettrici approvati dall’associazione Verace Pizza. Una rivoluzione che, ripetuto più volte durante la trasmissione sarebbe iniziata dopo l’inchiesta di otto anni fa, che ha suscitato molte polemiche e attacchi.

Si è soffermato poi sulla nascita della pizza contemporanea intervistando a tal proposito alcuni dei suoi alfieri come Capuano, Lioniello, Vitagliano e Martucci e sottolineando ancora una volta una differenza che, francamente, non ha ragion d’essere cioè quella tra pizza contemporanea e pizza tradizionale. Un po’ come, e so che Iovene che era con me nei panel di assaggio dei Campionati mondiali di mozzarella capirà, facesse differenza tra la mozzarella salernitana e quella casertana. Esiste una differenza tenuto conto che i salernitani sono i pronipoti dei casertani che acquistarono nel salernitano terreni acquitrinosi per i propri figli che volevano fare gli allevatori di bufale?

A dire di Iovene il “miglioramento” della pizza napoletana e campana più segnatamente sarebbe figlia della loro trasmissione. A completamento dell’auto-marketta stavolta però ha servito la sua vendetta ben fredda inserendo un’intervista rapida a Pignataro il quale, forse non capendo o distratto da altre cose, nel riconoscere tale merito giungeva ad asserire che i cambiamenti erano da far risalire all’indagine (la chiamiamo così pro bono pacis e per non beccarci una querela) di Report e che quindi era pronto a “inginocchiarsi”.

Devo dire francamente che fatico a comprendere questa parte. Continuo a pensare che il buon Luciano sia caduto in una trappola. Lui sa bene, e peraltro lo ha sempre asserito e scritto, che i cambiamenti nel mondo pizza a Napoli sono iniziati molto prima di quella barzelletta che fu la puntata di Report del 2014.

Nel 2005-2006 Enzo Coccia aveva iniziato una sua ricerca sui prodotti, nel 2011 I Fratelli Salvo avevano acquistato una piccola impastatrice da 2 kg dove e nel giro di soli 2 mesi il buon Salvatore Salvo aveva testato circa 200 impasti diversi annotandone i passaggi su un piccolo quaderno a quadretti che custodiva gelosamente. Il fratello Ciro faceva già un impasto di gran lunga diverso da quello storico. Poco dopo Vuolo aveva fatto ricerca sui pomodori e, successivamente a lui, Vincenzo Esposito Carmnella aveva declinato a menu la margherita, la marinara e la cosacca con almeno 5 varietà differenti di pomodoro.

Don Antonio Starita aveva acquistato una spezzatrice e gli impasti alternativi di Iervolino e Santucci erano stati una traccia per molti pizzaioli della nuova generazione. Prima che arrivasse Report Lioniello serviva già la “diversamente napoletana” e la faceva sostanzialmente così come la fa oggi, Carlo Sammarco faceva i canotti e Vitagliano aveva abbandonato la scuola di Carmnella per fare un suo prodotto diverso da quello di linea tradizionale.

Nel 2014 qui era già finita la diatriba tra canotto e napoletana e Alessandro Condurro aveva pubblicato un video dove con il suo impasto stendeva una pizza a canotto. Prima ed ultima volta nella Pizzeria da Michele a Via Sersale.

Davvero siamo ancora qui a disquisire su quale sia la migliore? Ma soprattutto dove sono i meriti di Report? Quelli di essere amico di uno e dell’altro?

Che le farine abbiano avuto una svolta è vero ma lo è solo per il Molino Caputo che, ancora legato a una sua valida linea tradizionale, optò per un passo indietro adattando una vecchia “ricetta di famiglia” ad una tipo 1, della quale ricordo la storia parzialmente dall’interno del Molino stesso e sul cui prezzo, suggerendolo al rialzo, diedi un mio contributo e parere ad Antimo. Ma a quest’epoca molti Mulini italiani erano molto più avanti. Quaglia aveva una già valida linea Petra che aveva dato impulso e sprint alla Pizza Veneta che oggi è uno stile assolutamente riconosciuto e riconoscibile con nomi come Padoan, Bosco, Donatelli, Lovatel, Ravagnan ecc. Molino Marino faceva farine da gioielleria prese quasi per intero da Bonci e Patrick Ricci. Insomma il mondo della pizza era già ad uno stadio di ricerca avanzatissimo e la puntata di Report era solo una noiosa querelle su questioni che non avevano ragion d’essere.

E la pizza napoletana? Stava già cambiando ma non nella forma, nello stile, nella modalità di intenderla ma nella modalità di impasto con maggiore ricerca. Il merito?

In primis dell’istruzione degli operatori del comparto, cresciuta in maniera uniforme e non per tutti. Una maggiore integrazione con il tessuto sociale che grazie ai social ha interconnesso generazioni e giovani di ogni dove mettendoli nella condizione di apprendere tendenze, idee e modi di fare di altre aree del paese. Ragazzi come quello del servizio che nel 2014 alla domanda “Cosa è la farina 00?” rispondeva “’o zi che è zero zero?” rivolgendosi al proprio titolare non ve ne sono proprio più. E poi diciamocela proprio tutta se Pagano porta Iovene (che è meridionale come noi e quindi lo sa) in una pizzeria di un rione popolare è facile che a quella domanda ottenga quella risposta. E’ come chiedere ai “cannati” fuori la discoteca in che anno si è avuta l’Unità d’Italia.

Direi che Report aveva fatto una trasmissione inutile nel 2014 e si è riprodotto oggi con qualcosa del quale non si sentiva assolutamente la necessità. Si è vendicata di Luciano Pignataro mettendolo in palese ridicolo  ed ha lasciato a molti pizzaioli il compito di recitare la loro parte probabilmente preparata a tavolino prima con alcuni.

E dire che salvo l’amico Lioniello molti di loro vengono da pizzerie tradizionali come Capuano da quella di Da Gennaro al corso Secondigliano, Vitagliano da quella di Carmnella e così via è fatto più che noto. Alcuni di questi hanno sputato sulle loro origini con in beneplacito di molte autorità del mondo pizza, nel contempo hanno consentito a Napoli di avere una grande attenzione mediatica sulla pizza napoletana, così come merita all’indomani dell’annunciata trasmissione di un gigante come Netflix che cercava di far passare la pizza come un prodotto tipico dell’alto casertano.

Amo le camice su misura ma da dopo il taglio della pizza con le forbici ho il terrore che la mia sarta mi tagli la stoffa con forchetta e coltello!

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