I monaci di San Masseo e i loro vini
San Masseo è un monastero benedettino alle pendici di Assisi che, in quasi mille anni di vita, ha subìto alterne vicende.
Ma sempre i monaci di vari ordini hanno bonificato e dissodato le terre oltre che costruito sistemi di raccolta delle acque intorno al monastero, coltivato l’ulivo e impiantato la vite.
Da alcuni anni sono i monaci di Bose ad aver ristrutturato questo luogo e ad avergli ridato vita accogliendo chiunque desideri trascorrere un periodo di pace siano essi uomini o donne, non credenti o credenti di ogni religione.
Oggi i monaci coltivano personalmente e a volte con l’aiuto degli ospiti, 2 ettari circa di vigneto di Grechetto varietà di Todi e Merlot.
La vite, dicono i monaci, è
“Un simbolo di morte e resurrezione perché ogni anno perde le foglie, va in quiescenza, viene potata, piange, nascono le gemme, riparte e arriva il frutto.
Ci aiuta a ripercorrere, anno dopo anno, una dimensione di preghiera e liturgica legata alla vita”.
Le uve vengono raccolte a mano e poi vinificate in una cantina amica e il risultato sono quattro vini e un vermut di altissimo livello.
La vigna di Grechetto di Todi è ultra cinquantenaria.
Curata interamente a mano.
Dà origine a poche bottiglie di Grechetto di Assisi DOC Bio.
Vinificato e affinato esclusivamente in vasche di acciaio per preservarne la freschezza ed i caratteristici profumi del vitigno.
Ancora meno sono le bottiglie di “Masseo”.
Sempre un Grechetto di Todi 100% che viene fermentato in barrique per dargli maggiore struttura e complessità.
Dallo scorso anno una porzione di vigneto è stata dedicata a una vendemmia tardiva.
Permette di ottenere un vino passito di Grechetto fermentato in barrique affinato poi in acciaio.
Il quarto vino è il “Rubeum”.
Un Merlot fresco e profumato prodotto da un vigneto di una ventina di anni, le cui uve sono vinificate e affinate in vasche di acciaio.
L’idea del vermut, anch’esso chiamato “Masseo”, è nata per caso come spesso accade.
Qualche anno fa, una parte della produzione del vino Grechetto, a causa di un errore, aveva dei piccoli difetti di ossidazione e quindi era diventata un prodotto di scarto.
Uno dei monaci ebbe l’idea: perché non provare a farne un vermut?
Fu contattato uno dei migliori produttori piemontesi.
E fu proposto di usare (oltre ai classici assenzio e ginepro) delle botaniche mediterranee in particolare quelle del Monte Subasio alle pendici del quale si trovano Assisi e il monastero.
A chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la Bibbia non sfuggirà il nesso tra l’evento e le parole del Salmo 117: “La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”.
Questa è anche la filosofia dei monaci di Bose.
Come da un prodotto di scarto si può ottenere un nuovo prodotto di grande qualità.
Così da ogni essere umano che giunge al monastero in cerca di pace per lenire mille ferite, può uscire un essere umano totalmente nuovo, vivo e ricco.
E infatti questo Vermut sta ottenendo grandi consensi da chiunque lo assaggi.
Non è un caso neppure che nelle etichette di tutti i vini di San Masseo sia riportata la civetta simbolo della dea della Sapienza, Atena o Minerva, che fin dall’antichità era stato preso come simbolo dai primi monaci con l’intento di affermare che “loro” erano i veri sapienti.
La civetta è anche un uccello che veglia nella notte.
Normalmente solitario e quindi ricorda altre due caratteristiche che i monaci cercano di vivere.
La vigilanza e la solitudine.
Anche se ci sono rare eccezioni quando debbono andare in giro a promuovere la loro produzione i cui proventi sono interamente destinati alla ristrutturazione del monastero e all’accoglienza di ospiti e pellegrini e viandanti!
Il monastero è visitabile in qualunque periodo dell’anno (previa prenotazione).
Ed è anche possibile fermarsi a dormire nelle camere che si trovano in uno degli edifici.
Si può passeggiare tra i filari dei vigneti, vedere come vengono lavorati e assaggiarne il frutto.
Questo l’invito dei monaci:
“Attraverso il lavoro della terra, che è al contempo lavoro sulla nostra umanità, possiamo rimanere capaci di riconoscere nel volto di chi accogliamo, conosciuto o straniero.
Innanzitutto un volto di umanità di cui ringraziare, magari bevendo insieme un bicchiere di vino buono”.