Lo stappo: Achille 2020 Case Corini

Case Corini

Quale è il percorso mentale che porta un EnoScribacchino come il sottoscritto ad utilizzare quando narra di un vino l’aggettivo bello?

Non lo so, ma quando scrivo di un vino ai miei canonici venticinque lettori, prediligo un linguaggio forse poco da “iniziati”, ma più coinvolgente.

Un linguaggio, dove la narrazione tiene conto non solo della tecnica e delle infinite sfumature che il nettare di bacco elargisce ai sensi, ma anche dell’impatto emotivo ed emozionale che, specialmente nei “vini naturali” ha la sua importanza…

Indi… che racconto quando, complice il caso e una bella serata ti ritrovi un vino, l’ Achille 2020 Case Corini, un gran gran bel blend di Barbera e Nebbiolo, territoriale a prova di scettico che già alle prime gocce a naso e palato ti rapisce?

Niente: solo e semplicemente è un vino bello!

Rosso rubino non limpido oltremisura in calice, archetti giusti e ben visibili.

Appena stappato, alle narici un insolito ma affatto negativo sentore di borotalco… ma basta poco ed ecco che entrano in campo mirtilli, ribes e frutti di bosco balsamici, tutti ben intessuti intorno a sentori di sottobosco, che con l’ulteriore evoluzione si stemperano in note di tabacco Virginia (da sniffo…) e svolazzi di rabarbaro.

Anche al palato Achille 2020 Case Corini si palesa ben strutturato, setosamente coinvolgente e di buona persistenza, senza tralasciare i tannini eleganti e ben percepibili, ma il tutto elegantemente e con misura, quasi come certi piemontesi (le persone) che dell’understatement ne fanno una ragione di vita…

Il finale è lungo a sufficienza, ma, sorpresa finale, con il crescere della temperatura in calice si palesano anche godibili note di terra che arricchiscono ulteriormente l’elegante dotazione sensoriale di questo vino.

Si: un rosso bello perché fa venire voglia di berne ettolitri a garganella direttamente dalla botte.

In tempi di rossi uniformati su pochi e ripetitivi registri, a prescindere da vitigno e zona di  provenienza, l’ Achille 2020 Case Corini ammalia per la sua complessità, e fa ulteriormente meditare su quanto ancora sia pervicacemente omologato un certo tipo di pensiero enoico, ancora (ahimè!) maggioritario.

Case Corini

Ivigna e cantina si applica il metodo Corino che, stringendo il tutto al formato “bignami”, pur con sfumature diverse è molto vicino a quel che ora viene definito (talvolta impropriamente) “vino naturale”, fatto nonostante la necessaria dimensione artigianale dell’azienda, con grandissima capacità tecnica e un occhio più che di riguardo alla sostenibilità.

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