“Su filindeu”: un pellegrinaggio, un bandito, una trama di pasta prodigiosa

“Il grano accumulato vien ridotto in pane ed in minestra, una specie di minestra detta “filindeu”. È una minestra tutta particolare a queste feste; pare un grosso velo e il suo nome forse significa “filo di Dio”.
Grazia Deledda “tradizioni popolari di Nuoro”

Su Filindeu è una rara pasta della Barbagia tradizionalmente offerta per rifocillare i fedeli che partecipano ad un pellegrinaggio che si svolge a partire da Nuoro verso il santuario di San Francesco di Lula.

Nasce da ingredienti semplici quali semola di grano duro, acqua e sale.
Viene lavorata e trasformata in sottilissimi fili disposti poi su tre strati sovrapposti in diagonale e intrecciati in modo da formare un sottile cerchio dalla superficie irregolare.
I fili intrecciati vengono poi fatti asciugare sopra una base di foglie di asfodelo essiccate.
La forma di pasta ottenuta viene quindi frantumata in piccoli pezzi che sono cotti in un saporito brodo di pecora accompagnato da pecorino fresco acidulato, il “casu axeddu”.
La ricetta si preparava anticamente in gruppo, con le vicine di casa, con le figlie, con le nipoti, tutte rigorosamente donne, come da tradizione.

Il santuario di Lula, celebrato da Grazia Deledda, sorge a circa trenta chilometri da Nuoro, al centro della Sardegna.

Uno scenario austero e suggestivo, un luogo simbolo di spiritualità.
I fedeli di tutta l’isola vi si recano in pellegrinaggio in occasione di una doppia festa dalle radici leggendarie.
Cerchiamo di comprendere a pieno questa storia dove le tradizioni culinarie si intrecciano con quelle spirituali e religiose.
I pellegrinaggi e le celebrazioni di cui vado a raccontarvi si tengono a maggio e a inizio ottobre tra Nuoro e Lula, borgo situato nella parte nordorientale del territorio della barbagia nuorese alle pendici del monte Turuddò.
L’origine delle celebrazioni viene ricollegato ad un fatto di cronaca: l’ingiusta accusa di omicidio nei confronti di un giovane del borgo di Lula.
Il bandito
La storia prende avvio in un periodo compreso tra il XVI e il XVII secolo e viene citata anche da Grazia Deledda nel romanzo “Elias Portolu”.

La scrittrice fa il nome di un bandito nuorese del tempo, Francesco Tolu, accusato come autore di un omicidio.
Il giovane possidente, rifiutando ogni accusa sceglie la latitanza proclamandosi innocente.
La strenua volontà di dimostrare la propria estraneità ai fatti lo conduce ad una vita solitaria, braccato notte e giorno dalla giustizia.
Convinto dopo qualche tempo a costituirsi viene poi riconosciuto innocente e torna in libertà.
A seguito di ciò, in un momento di grande commozione, assume l’impegno di far costruire un piccolo santuario intorno alla grotta dove ha trascorso la latitanza.
Grazia Deledda
Grazia Deledda amava cucinare per la propria famiglia ed era una profonda conoscitrice della tradizione gastronomica.

Sull’alimentazione sarda ha lasciato pagine indimenticabili: i suoi racconti e i suoi romanzi dimostrano una profonda conoscenza e una innata curiosità verso la manualità di alcune preparazioni, come certe paste e dolci, e anche per la ritualità connaturata con alcune pietanze.
La scrittrice è profondamente affascinata da quella che viene definita la “pasta più rara del mondo” su filindeu”: spaghetti sottilissimi “filati” a mano, stesi su tre strati sovrapposti, fatti essiccare al sole, poi usati spezzati in una minestra a base di brodo di pecora e formaggio pecorino.
La Deledda narra che il giorno della festa, in locali appositi, tutte le famiglie accorse ascoltassero la messa, preparassero il pranzo ed in fine mangiassero in comune.
Il pranzo consisteva, oltre che nella carne ed altre specialità locali, nel “filindeu”condito con formaggio fresco acidulato: una minestra densissima e squisita.
Tutte le vivande venivano benedette ed il “filindeu”, ritenuto quasi miracoloso, portato in appositi contenitori anche agli ammalati.
“Nessuno” prosegue la scrittrice “può esimersi dall’assaggiarli perché si dice che altrimenti San Francesco si offenda”.
A rinforzare la tesi del piatto magico la presenza di un precipizio chiamato “il fosso della sposa”: secondo una leggenda, una sposa nuorese recatasi alla festa di San Francesco di Lula non solo non volle mangiare su filindeu benedetto ma lo derise.
Al ritorno precipitò da cavallo e cadde nel dirupo che poi prese il suo nome.
Il santuario
La giurisdizione di Lula, appartiene ai nuoresi che gestiscono la festa e il santuario da sempre.
Il luogo di culto meta del pellegrinaggio gode di una sorta di extra-territorialità: è una zona sacra neutra dove tutti trovano accoglienza.

Il santo che vi si venera – Francesco d’Assisi, ma per i sardi Francesco di Lula – è considerato il protettore dei “balentes” (termine dalla doppia accezione di uomo coraggioso e di bandito).

Nella chiesa è conservata una statua lignea del santo di scuola napoletana del ’600.

Per accogliere pellegrini e partecipanti alle novene provenienti da tutto il Nuorese e dal resto dell’Isola furono costruite, in gran parte in epoca moderna, le “cumbessias”, caratteristiche casette in pietra edificate attorno al santuario.
Il cammino parte nel cuore della notte dalla chiesa del Rosario ed è pervaso da un’atmosfera di mistero legata al leggendario brigante che riecheggia nel pellegrinaggio.
Il percorso consta di più di trenta chilometri con arrivo al santuario al mattino successivo.
Il pellegrinaggio del primo maggio, quello più frequentato, coincide con l’inizio della novena, che si conclude il giorno 10 maggio.
Il pellegrinaggio
Allo scoccare della mezzanotte dalla parrocchia di Nostra Signora del Rosario i pellegrini iniziano il loro cammino per raggiungere il santuario di San Francesco di Lula.

Nella prima fase, dopo aver toccato le otto croci e aver superato “Su Pettorru e’ ziu Moro” si arriva alla nona croce, detta La Girandola.
Questa meta intermedia è la più sentita perché è un momento di tepore e ristoro.
Da qui in avanti il cammino si fa più lieve e la meta appare più vicina.
Alle prime luci dell’alba si giunge a destinazione nel luogo del riposo, dell’accoglienza e della festa.

Nella fase finale del cammino, in uno spiazzo, ove si trova la croce di San Nicola, il priore attende i pellegrini con lo stendardo.
E’ sempre qui che vengono dispiegati tutti gli stendardi che i fedeli hanno portato da Nuoro e che sono rimasti chiusi fino a quel momento.
E ’ un momento carico di emozione in cui le immagini sacre ondeggiano in una sorta di ringraziamento per la felice conclusione del cammino notturno.
L’arrivo al Santuario
I pellegrini che giungono la mattina al Santuario di San Francesco di Lula, sono accolti dal comitato del Priore che offre loro conforto spirituale con la Santa Messa, ristoro fisico con la lavanda dei piedi, e li rifocilla con latte e caffè caldi accompagnati con biscotti e altri dolci.
Poiché di buon mattino gli addetti alle cucine iniziano a preparare il bollito di pecora e patate per il pranzo, è pronto il brodo in cui cuocere per pochi istanti “su Filindeu”, I fili di Dio.
Prima della consumazione, che avviene in piedi in una piccola stanzetta è buon costume offrire un obolo e farsi il segno della croce in forma di ringraziamento per essere arrivati sani e salvi a destinazione e per l’aver ricevuto un cibo così carico di misticismo.

La novena
La maggior parte dei pellegrini vive il cammino solo per una notte.
Un ristretto numero di fedeli invece, i novenanti, molti di questi appartenenti alla famiglia del priore di turno, si ferma per alcuni giorni nel piccolissimo villaggio racchiuso dalle mura esterne che circondano il Santuario.
Al decimo giorno, il 10 maggio, il corteo di pellegrini parte verso Nuoro, con il priore uscente che reca in processione la statua del santo accompagnato dai fedeli a piedi o a cavallo.
S’arbore: la conclusione della festa
“S’arbori” è il rito che chiude definitivamente i festeggiamenti e ufficializza il passaggio delle consegne tra nuovo e vecchio priore.

I due cortei di pellegrini si incontrano a metà strada fra Lula e Nuoro.
Il corteo con il priore uscente parte da San Francesco e si dirige verso Nuoro; quello con il nuovo priore parte da Nuoro e si dirige verso Lula.
Nel luogo d’incontro, un bosco di querce nell’agro di Marreri, il grande gruppo si accampa ed è li che si tiene la tradizionale festa di S’Arbore: un grande banchetto comunitario all’aperto offerto dal nuovo priore, alla presenza del simulacro del Santo.
Tutti i partecipanti pranzano con abbondanti portate di carne di pecora, agnello, porchetta, casizzolu, pane carasau, dolci e altri prodotti tipici nuoresi.
Attorno alle 18 si fa ritorno a Nuoro: per tre volte si fa il giro della Chiesa del Rosario decretando così la fine dei festeggiamenti.
Dopo il passaggio delle consegne il priore uscente non sarà dimenticato [17]: il suo nome sarà apposto all’epigrafe contenente i nomi di tutti i priori che lo hanno preceduto dal 1890, posizionata sulla facciata esterna della più grande delle cumbessias.
La tradizione esige una fratellanza di sangue tra i priori, una linea di discendenza con il capostipite della tradizione Francescana di Lula.
Da questo momento iniziano quindi gli onori e gli oneri del nuovo priore.
Tra i compiti quello di organizzare la questua gestita soprattutto dalle donne ma anche fatta dal priore stesso e suoi collaboratori che si occupano di ottenere donazioni più corpose, tra cui capi di bestiame e formaggi per i periodi delle due feste.

Il nuovo priore
La nomina arriva al priore senza preavviso, inaspettata, e viene vista come una predestinazione che viene accettata e interpretata con fede e sostenuta grazie anche all’appoggio delle rispettive famiglie che si rendono totalmente disponibili.
Durante i festeggiamenti nel sagrato dove sostano i pellegrini, “sos pedones”, i collaboratori sono sempre pronti ad accogliere tutti con una bevanda, un dolce e un pasto caldo in nome della fratellanza.
Vere protagoniste sono le abili mani che preparano “su filindeu”, vera opera d’arte della cucina tradizionale, fili sottili di pasta lavorata con maestria la cui tessitura si tramanda da tempi immemorabili.
Nel grande cortile adibito a cucina, i fuochi sempre accesi, sorreggono enormi pentoloni dove vengono preparati incessantemente i pasti da offrire.
Vengono preparate le più antiche pietanze sarde servite nelle tavolate comunitarie, di fronte al cibo offerto in nome del Santo ci si sente tutti fratelli.
Amici, familiari del priore e tutto il personale volontario fanno gli onori di casa, sono loro che per un anno intero hanno chiesto le donazioni per offrire poi cibo a tutti.
Le origini di “su filindeu”
Diverse sono le scuole di pensiero riguardanti l’origine della pasta secca: alcuni sostengono sia araba e portata in Sicilia dopo la sua conquista; altri la ritengono di origine cinese, portata in Italia da Marco Polo, c’è chi sostiene in fine, in modo più verosimile, che sia l’evoluzione della” laganon” greca.

Nel ricercare le origini della parola “filindeu” vari sono i riferimenti storici in cui ci si imbatte:
- La relazione di Martin Carrillo nel 1612, inviato dal re di Spagna per fare un’analisi economica sull’isola, partecipa ad un pranzo a Mamoiada con 2500 invitati dove si prepara, tra l’altro, i “Fideos”;
- Ll Vocabolariu Universali Sardu Italianu di Vincenzo Porro del 1832 cita la pasta “Findeus”;
- Il canonico Giovanni Spano nel suo vocabolario del 1851 cita la pasta “Findèos”;
- Lo studioso Giovanni Maria Cabras che nel suo vocabolario Baroniesu italianu-italianu baroniesu del 2003 cita i “Filindéu“ che al plurale la chiama “Filindeos”. Indica che la parola è proveniente dallo spagnolo “Fideos”.
- Secondo lo studioso di alimentazione Massimo Montanari [35],il termine deriverebbe dall’arabo “fidaws”, che vuol dire “capello”. Passando poi in Spagna, dopo la conquista mussulmana, lo si ritrova nelle forme “fideos” in castigliano, “fidiaux” o “fideis” in provenzale. Con la conquista Catalana prima e spagnola poi, il termine si afferma anche in Sardegna: findeos, fundeos (in Logudoro), filande e filindeus.
- Nel XVI secolo, nel suo “Tesoro de la lengua castellana o espanola”, Sebastian Covarrubias scrive che i fideus o fideos sono dei maccheroni che sono come dei fili, o delle cordicelle sottili.
- I Fidelari di Genova, associazione costituitasi nel 1574, commercializzavano i fidelini, pasta secca di grano duro.
- Non essendoci però prova della sua produzione si suppone che provenissero dalla Sardegna. L’attuale pasta nuorese può quindi essere chiamata indifferentemente: Filindeu, filindeus o filindeos.
La preparazione
“Su filindeu” è un tipo di pasta allungata che ricorda i noodles il cui impasto è costituito da semola di grano duro e acqua che viene lavorato a mano fino a renderlo elastico.
La pasta, tagliata a pezzi da un etto, viene prima arrotolata in cilindri e quindi “tirata” a mano e piegata in due, poi in quattro e così continuando per altre sei volte.
Si ottiene così una serie di 256 lunghi fili che si stendono su un piano tondo di circa mezzo metro di diametro, realizzato in foglie di asfodelo intrecciate per favorirne l’essiccazione.
Finita questa fase si taglia in pezzi e si immerge nel brodo di carne di pecora in ebollizione.
Infine si aggiunge del pecorino fresco acidificato, il “casu axedu“.
Riconoscimenti
Quest’antica pasta tipica è dichiarata “Presidio Slow Food”.

E’ anche inserita nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Sardegna (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Le mani sapienti
La preparazione della pasta per la minestra, fatta esclusivamente a mano, veniva tramandata dalle donne di generazione in generazione.
In epoca moderna sono poche, una decina in tutto, le persone che conservano quest’arte che un tempo era molto più diffusa.
Paola Abraini
Paola Abraini, nuorese, realizza su filindeu da 40 anni circa.

E’ stata sua suocera ad insegnarle l’arte della preparazione e lei ne conserva gelosamente la tradizione raccontandola a chi voglia imparare.
Ecco le sue parole davanti alle telecamere dell’”Associazione culturale janas”:
“La pasta va lavorata bene e a lungo, di modo da ottenere la giusta elasticità, dopo di che procedo alla lavorazione de su filindeu, che consiste nel prendere un pezzetto di pasta (circa 100 gr), lavorarla ancora molto bene con l’acqua normale, e poi aggiungere l’acqua salata per dare la giusta elasticità che ci vuole per fare su filidneu”.
Lavorata la pasta inizio a tirare questi fili che sovrappongo nelle mani per otto volte, ottenendo 256 fili.
Dopo di che li stendo su questo foglio di legno e procedo alla lavorazione fino a riempire questo fondo con tre strati fatti ad incrocio…”.
“Una volta che ho riempito i tre strati prendo il fondo e lo porto fuori ad asciugare al sole”.
La pasta essiccata dovrà essere staccata dai fondi di legno, tagliata a pezzi e cucinata secondo tradizione.
Raffaella Marongiu Selis
Ha imparato a preparare su Filindeu a 15 anni da sua madre Gavina che a sua volta aveva appreso l’antica tecnica dalla madre Rosaria.

Organizza lezioni e corsi per salvare questo tesoro dall’oblio e cercare di tramandarla alle nuove generazioni
Il giornalista Agostino Petroli racconta di lei:
“Le mani di Raffaella Marongiu Selis lavorano la farina, l’acqua e il sale con un attento dosaggio degli ingredienti frutto più dell’esperienza, della saggezza e dell’intuito che della tecnica pur necessaria, anche se il vero segreto è nella ricerca dell’esatto punto di elasticità della pasta”.
Luca Floris
Dalle parole di Luca Floris:
“ho capito quanto la tecnica sia difficile, e ho capito che può essere anche l’orgoglio di un uomo”.

Amante della pasta e delle semole fin da bambino, un giorno sentì un’intervista in cui una signora, esperta di filindeu, affermava che non era cosa da uomini.
Si sentì sfidato e cominciò a studiare.
Per capire quanto ingannevole sia la naturalezza dei gesti, basti sapere che Luca, per conquistarla, ha impiegato tre anni.
Tre anni di lavoro quotidiano, prima a studiare le semole, rigorosamente sarde, ma diverse una dall’altra, poi a provare, provare e riprovare, tirando e sbagliando, fino a conquistare la sapienza delle mani.
“Se i nuovi fili trovano una pasta troppo asciutta sotto, durante la cottura si staccheranno.
Lo strato inferiore deve essere abbastanza umido da permettere a quello superiore di incollarsi».
L’essiccazione richiede attenzione: e, una volta di più, non c’è modo di stabilire una durata esatta.
«Dipende dal sole. L’importante è che sia piuttosto veloce, per evitare che il fondo di asfodelo raccolga troppa umidità, rischiando poi di ammuffire. Non c’è segreto», afferma Luca, «solo passione e tanto lavoro».
Ha vinto inoltre una sfida nella sfida, conquistando una «parità di genere» e consegnando anche agli uomini un sapere fino a ora solo femminile.
E’ molto interessante visitare il suo sito dal titolo “su filindeu nugoresu”.
Anna Saba
Nasce a Buddusò, per 10 anni si è dedicata alla produzione artigianale della pasta nei formati tradizionali, maccarones lados, impanadas e seadas, ispirandosi alla tradizione appresa da sua madre.

Affascinata dalla scoperta di “su filindeu” si getta anima e corpo nell’impresa: un’ avventura fatta di un anno intero tentativi fino ad arrivare al miracolo ed essere finalmente in grado di produrre questa specialità così preziosa.
Da quel fortunato giorno non ha più smesso di prepararla affinando la sua tecnica e proponendo dimostrazioni e corsi anche all’estero.
Dove mangiare e acquistare “su filindeu”
Ristorante “Il Rifugio”, Nuoro
Trattoria che ormai da 34 anni opera nel centro storico di Nuoro, a due passi dalla cattedrale di Santa Maria della Neve.

Silverio Nanu e il figlio Francesco propongono piatti tradizionali della cucina barbaricina, con prodotti rigorosamente stagionali.
Da non perdere “su Filindeu”.

Ristorante ChiaroScuro, Cagliari
Una piccola e preziosa enclave nuorese a Cagliari, progetto gestito della brava Marina Ravarotto, chef e ideatrice del ristorante ChiaroScuro.

Il nome del locale si riferisce a un’opera di Grazia Deledda ed anche il menu segue la divisione dei capitoli del romanzo.
Le ricette sono quelle barbaricine e di Nuoro in particolare, con uno sguardo attento alle materie prime e ai piatti della tradizione che la chef Marina esegue alla perfezione, aiutata da tecniche di cucina moderne che non snaturano gusti né profumi.
Il grande esempio arriva dai filindeu.

La vineria Enorosei, Orosei
Una vineria davvero speciale nel cuore di Orosei propone in vendita su filindeu prodotto da Paola Abraini in confezioni da 250 g, acquistabili anche on line dal loro sito internet.
