O’ Sapurit il tempio della carne e di tutte le sue declinazioni. Non appaia anacronistico che chi come me, carnivoro convinto sulla via del consumo parsimonioso di questa, scriva in maniera entusiastica di un luogo dove la carne è il perno principale di tutta l’attività.
La famiglia Palumbo ha antiche origini nel mercato della carne. Già per certo il bisnonno della generazione più giovane e attiva al momento era un allevatore e dal nonno in poi accanto a quest’attività si è affiancata anche quella di macellai.
Anni fa, Giacomo Palumbo, terza generazione e papà di Antonio e Sabatino, diede a questo locale il nome di O’ sapurit e partì per l’avventura ristorativa. Come tutte le attività, però, il locale impattò con le varie crisi prima e le vicende Covid poi e qui giunse il supporto dei figli.
Antonio in prima battuta che ripensò il locale centrandolo attorno al corebusiness storico dell’azienda e poi Sabatino che fu richiamato proprio da questi. Nessuno dei due figli veniva dalla ristorazione in senso stretto se non l’aiuto nel locale di famiglia. Antonio era studente universitario mentre Sabatino era partito come pizzaiolo nel locale di famiglia ma poi con il suo professore dell’alberghiero aveva percorso una lunga gavetta fatta di locali nelle stagioni estive.
Tutto ripartì da lì, poco prima del Covid ed ebbe uno dei migliori banchi di prova che vi potessero essere. Dall’asporto alla riapertura fu un gran crescendo.
Nel frattempo al gruppo si unì Lino che era partito come extra nel locale e piano piano era cresciuto formandosi come sommelier e maître di sala con una magnifica professionalità che ho apprezzato moltissimo in tutto il contesto. Senso della sala e massima attenzione al funzionamento della stessa ma sempre con massima discrezione e garbo.
A coronare il gruppo esecutivo del team giunse poi, per vicende familiari, lo Chef Alessio Di Dio, marito di Stella, nipote del patron Giacomo. Un ragazzone alla soglia dei 40 anni con 20 e più anni di esperienze stellate parigine, partite come comì e terminate come Sous Chef di Joël Robuchon prima e Alain Ducasse poi, qui tra il locale principale e il Ducassino.
Ne parleremo perché le tracce e il solco di queste due esperienze, soprattutto quella con Robouchon, sono leggibilissime nelle proposte che non riguardano la brace.
Premetto che la cena è stata luculliana e che avrei potuto sottrarmi in qualsiasi momento ma non ci ho pensato un attimo se non sul dolce dove ho alzato bandiera bianca.
Il locale è caldo ed accogliente con una stanza dei vini a temperatura, una grande cella di frollatura dry age con pannelli di sale, banco tagli e cella di maturazione con pezzi di carne straordinari.
Mi lascio guidare in questo racconto familiare bellissimo.
Il benvenuto è un crostino di pane cafone con su il lardo curato da Giacomo che oltre ad avere grandi capacità di macellaio è anche un finissimo norcinaio.
Si parte con un carpaccio di manzetta prussiana affumicata con trucioli di legna di faggio e rosmarino e sale aromatizzato al rosmarino. Ottimo bilanciamento della sapidità con una grande scioglievolezza.
Il pane che arriva in accompagnamento sul tavolo è il loro. E non è per nulla scontata questa cosa.
Prima che arrivi il tagliere dei salumi Giacomo mette il “carico” sul tavolo. Un prosciutto di vitello stagionato curato da lui personalmente.
L’impatto è fantastico. I profumi ricordano un Prosciutto di Parma di lunga stagionatura con fini ritorni di salume stagionato. In bocca è pressoché solubile, non si arriva a masticarlo per come si scioglie lasciando una sensazione di gradevole pulizia.
Un salume da antologia. Da premiare assolutamente. Dove siete guide che date premi a destra e a manca?
Lasciamo stare. Si prosegue. Arriva il Non è un vitel tonné, rivisitazione del celebre piatto piemontese fatto dalla casa. Qui accanto ad un signor vitello ci sono fiocchetti di cavolfiore romanesco e giallo e maionese alla rapa rossa. La salsa tonnata è un delicato sostegno alle fettine di vitello.
Poi il tagliere dei salumi. In ordine Lonza di maiale, pancetta, salsiccia e testina. Quattro salumi perfetti. La sintesi di oltre 100 anni di tradizione familiare. Il biglietto da visita di Giacomo Palumbo.
Nessun sentore di pelliccia o peggio ancora animale, Strappo perfetto della fetta. Aromi che vanno dalle erbe alla frutta secca e alla salsedine. Difficile stabilire una preferenza anche se la salsiccia con una grammatura di sale\kg a 20 grammi è assolutamente sul podio per complessità, intensità e suadenza.
Va specificato che sul tagliere comparivano anche un formaggio e un primo sale di pecora della montagna di Minturno dove la famiglia Palumbo ha una trentina di capi di vitellone bianco dell’Appennino Centrale allevati allo stato brado nei mesi primaverili-estivi su una superficie di ben 17 ettari (170.000 mq ossia oltre 5000 mq a vitellone – allevamento più sostenibile di così non esiste).
Chiude il lungo giro antipasti la Tartare ai limoni di Sorrento. Una tartare di manzetta selezionata dai Palumbo (come tutte le carni sia allevate che acquistate) con olio extravergine di oliva, sale di Maldon. Gocce di gel di limoni di Sorrento. Delicatissima e fresca. Quasi il sorbetto che negli anni ottanta di serviva prima di passare dal pesce alla carne. Solo che qui si passa ai primi.
Sui primi i know-how dello Chef Alessio Di Dio, tutti assolutamente francesi, danno una spinta assolutamente innovativa ai nostri primi della tradizione.
Dovevano essere due ma a breve spiegherò perché sono diventati tre.
Si parte con gli ziti già spezzati di Pastai Gragnanesi 28 alla genovese. Una genovese come non la faceva nemmeno la mia mamma!
Cotta con il sistema dell’impilatura su più pentole con acqua vanta la cottura più lunga che conosca ad oggi. 36 ore, utili, senza che nulla si attacchi e generi ritorni amari o altro, a dare un sugo con carne di vitello e una cipolla ramata di Montoro consumata e delicata con un bellissimo color mattone.
In rapida sequenza arriva la lardiata alla maniera dello chef. Mezzaniello LardOrè questo il nome dei mezzanelli con pomodorini gialli dell’agro nocerino sarnese, peperoncino, un mix di pecorino e basilico a richiamare l’allacciatura della nonna, una sottilissima fettina di lardo trasparente di produzione sempre della case e un pomodorino semi dry rosso a bilanciare. Magnifica reinterpretazione di un piatto per sua indole “consistente” reso assolutamente molto più leggero dagli abbinamenti per nulla banali.
Mi si parla della pasta, patate e provola. So che lo chef è stato da Robouchon dove la cifra stilistica era assolutamente nel purè di patate ratte, delle patate asciutte con sentori di castagna o di nocciola per il quale il purè del Maestro era a giusta ragione ritenuto il più buono in assoluto di sempre.
Come rinunciarvi. Confesso una debolezza. Poteva bastarmi tutto quello che era arrivato ma la gola ha vinto.
La tecnica è quella di prendere la provola, strizzarla e metterla in mantecatura in una pasta e patate da urlo. Per poi lasciarvi colare su il latticello. Da sola per i primi vale il viaggio!
Gli altri primi strepitosi ma questo piatto da antologia. Imperdibile. Pornografico!
Si finisce con il botto con una Tomahawk con una marezzatura fantastica e lo show di Sabatino che sembra essere un allievo di Nusret Gökçe al secolo “Salt Bae”. Flambata con Jack Daniel’s in un piccolo show che rende più emozionante il tutto.
Non vi dico nulla sulla bistecca che pesava per mia espressa imposizione meno di 1.300 grammi o sarebbe stato uno spreco. Un grasso intensissimo e pulito, una fibra magnifica, tenera e intensa.
Mi arrendo sul dolce.
Ad innaffiare tutta la cena un Dogajolo di Masseria Carpineto e un Falerno del Massico base aglianico di Tacito sui quali soffermarsi è anche superfluo.
Se dovessi consigliare un pasto tipo lo ipotizzerei cosi: prosciutto di vitello, carpaccio di manzetta prussiana, pasta e patate con provola e un taglio di carne (c’è solo l’imbarazzo della scelta dalle razze più note sino al Wagyu giapponese) alla brace. Se avete grande appetito potete inframezzare con un altro antipasto. Sul dolce non mi pronuncio ma qui non c’è sempre posto, soprattutto se fate come me!
Il menu lo trovate qui e potete consultarlo.
Va detto che la famiglia ha anche un altro locale a Giugliano che è gestito dalla figlia. O’ Sapurit Burger Store. Ma questo è un altro racconto.
Via Caffariello 21 – Varcaturo – Giugliano in Campania (NA)
Tel.347-5799333
Aperto a cena tutti i giorni dalle 19.30 alle 23.30. La domenica anche a pranzo dalle 13 alle 16.
Chiuso il lunedì
Si consiglia sempre la prenotazione
Di formazione classica sono approdato al cibo per testa e per gola sin dall’infanzia. Un giorno, poi, a diciannove anni è scattata una molla improvvisa e mi sono ritrovato sempre con maggior impegno a provare prodotti, ad approfondire argomenti e categorie merceologiche, a conoscere produttori e ristoratori.
Da questo mondo ho appreso molte cose ma più di ogni altra che esiste il cibo di qualità e il cibo spazzatura e che il secondo spesso si mistifica fin troppo bene nel primo.
Infinitamente curioso cerco sempre qualcosa che mi dia quell’emozione che il cibo dovrebbe dare ad ognuno di noi, quel concetto o idea che dovrebbe essere ben leggibile dietro ogni piatto, quella produzione ormai dimenticata o sconosciuta.
Quando ho immaginato questo sito non l’ho pensato per soddisfare un mio desiderio di visibilità ma per creare un contenitore di idee dove tutti coloro che avevano piacere di parteciparvi potessero apportare, secondo le proprie possibilità e conoscenze, un contributo alla conoscenza del cibo. Spero di esservi riuscito.
Il mio è un viaggio continuo che ho consapevolezza non terminerà mai. Ma è il viaggio più bello che potessi fare.