Quando la “zuppa di cozze” divenne “cozze nella culla”. La ricetta di Re Ferdinando IV.

ferdinando

Nei suoi 17 anni di regno Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli con questo nome e di Sicilia con Ferdinando III e delle Due Sicilie con Ferdinando I, si distinse per le sue stravaganze.

In tutto questo periodo fu in continua lotta sui cibi e sulle sortite fuori palazzo, spesso mascherato da donna per non farsi riconoscere, con la moglie Maria Carolina, bellissima austriaca della casata Asburgo Lorena con la “puzza sotto al naso” ed un astio totale verso tutti i cibi partenopei, pizza in testa.

In un clima così il sovrano crapulone ebbe vita difficile già tra le mura domestiche alla quale si sommò anche la reprimenda che spesso gli muoveva il domenicano padre Gregorio Maria Rocco che, a detta di Alessandro Dumas, nella città di Napoli era più potente dell’allora Sindaco, del Vescovo e del Re stesso.

Ferdinando

Padre Gregorio Maria Rocco

E su queste basi si inserisce la storia della zuppa di cozze che ovviamente non ha tutti i contorni del racconto certi ma varie testimonianze dell’epoca che a grandi linee collimano tra loro.

Il nostro sovrano, soprannominato dai sudditi Re Nasone per via del suo grandissimo naso era, dopo la pizza, particolarmente ghiotto di frutti di mare che egli stesso spesso pescava nel lago Fusaro o nei pressi della Casina vanvitelliana verso Bacoli. Si racconta che addirittura talvolta li vendesse anche a dignitari che li pagavano persino a prezzi maggiorati.

A Napoli già verso la fine del 700 era in uso il giorno dei Sepolcri, il giovedì santo, lo “struscio”, ossia una passeggiata con il vestito della festa che andava dalla chiesa verso casa. In tale circostanza le affollatissime strade della metropoli italiana si svuotavano verso ora di cena dove ciascuno tornava a casa o andava in posti di mescita e ristoro per consumare il pasto di quel giorno, ossia un piatto di cozze aperte adagiate su delle freselle somiglianti a fette di pane biscottato (‘o vascuott) e condite con acqua di mare bollente (che le cuoceva a tutti gli effetti) e un olio piccante ottenuto dalla bollitura a fuoco quasi spento di questi con un concentrato di pomodoro e peperoncini in pasta. Il famoso olio santo che a Napoli si chiama “’o russ” ed oggi si trova sempre meno facilmente in versione sia piccante che dolce.

La zuppa di cozze originaria ovviamente differisce molto da quella attuale che oltre le cozze ospita tentacolo di polpo, seppia, vongole, telline, lumachine di mare, cannolicchi ed è sormontata da un gamberone. Ma non è difficile immaginare che come la conosciamo oggi avesse un’antenata che finiva sulla tavola del Re e che questa versione dovesse essere talmente ricca che Padre Rocco ebbe a tuonare nei riguardi del Re che, da buon cristiano e timorato di Dio (ma soprattutto del padre domenicano) si prodigò per trovarne un’alternativa molto più morigerata ma differente dal piatto del popolo che per i veti di Maria Carolina non avrebbe mai potuto finire sulla tavola reale.

Nacque così il piatto delle “cozzeche dint’ a connola”, le cozze nella culla.

Su indicazione del Re furono presi dei pomodori di Sorrento (dei cuore di bue) e una volta divisi a metà e svuotati furono riempiti di cozze sgusciate e passate con del pane grattugiato, dell’aglio, del prezzemolo e una volta gratinati conditi con un filo di olio santo.

Una versione gourmet della zuppa di cozze che oggi ci aspetteremmo da uno chef di alto livello. Un aggiramento di un precetto religioso e un diktat di casa con un escamotage. Non a caso Re Ferdinando era noto anche come Re burlone.

Oggi le cozze nella culla non si fanno più ma nei quartieri popolari sopravvive il pignatiello: una zuppa di cozze nel coccetto infornata. Chissà che i napoletani non abbiano imitato il Re.

Quando la “zuppa di cozze” divenne “cozze nella culla”. La ricetta di Re Ferdinando IV.

L’attuale Maria Carolina

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